Questo intervento del Prof. Giacomo Rizzolatti ha ricevuto la risposta del Ministro Fabio Mussi due giorni dopo sempre su La Stampa (Prof maestri anche senza cattedra)
L’otto di dicembre ho ricevuto una lettera da un scienziato americano di grande prestigio che lavora al National Institute of Mental Health. Diceva che l’NIMH sta cercando un ricercatore affermato come "lab chief". La lettera finiva con "please consider this seriously for yourself". Il 16 di dicembre il Sole-24 ore pubblicava la notizia che il governo in un emendamento inserito all’ultimo momento nella finanziaria decideva che io, come tanti altri professori universitari, non servivo più e in un paio di anni, nel caso mio, dovevo andarmene a casa.
Da una parte la comunità scientifica più avanzata del mondo cerca di averti, dall’altra una comunità scientifica, purtroppo non eccezionale, mi considerava inutile. Come è possibile? Molto semplice. Da anni negli Stati Uniti si considera che discriminare una persona in base all’età non è diverso dal discriminarlo in base alla razza o al sesso. Quindi mandare a casa un professore universitario attivo solo perché ha superato una certa età è illegittimo. Lo stesso vale per il Canada.
Un esempio calcistico spiega facilmente il perché di questa posizione legislativa. Immaginate una squadra di calcio formata da giovani ed anziani. Cosa succederebbe se il suo allenatore decidesse che la formazione deve essere fatta in base all’età e non al merito? Cacciare via i Trezeguet o i Del Piero? Certo che no. Si direbbe che l’allenatore è un imbecille. Per l’università non è lo stesso? Anzi, se la Juventus perde dispiace ai suoi tifosi, ma se la ricerca va male il paese va in rovina.
La cosa è ancora più allucinante in quanto in Italia esiste o meglio esisteva una legge molto avanzata in questo campo, se non rispetto agli Stati Uniti ed al Canada, almeno rispetto a molti altri stati europei. Secondo la vecchia legge italiana i professori universitari vanno in pensione a 72 o a 75 anni, secondo l’anno in cui erano entrati un ruolo. Un punto debole della legge è che, negli ultimi anni di servizio, il professore è esentato dall’insegnamento restando inalterati gli altri suoi obblighi. Questo vecchio privilegio è effettivamente un lusso cui l’Università, cronicamente cenerentola nei finanziamenti governativi, oggi ha difficoltà a mantenere. Il problema, però, poteva essere risolto molto facilmente. Bastava rendere obbligatorio l’insegnamento fino alla pensione e chiedere il pensionamento anticipato di chi si rifiutava.
La gravità del provvedimento governativo non solo sta nelle sue conseguenze ma anche nell’incapacità di chi lo ha proposto di comprendere chi è e cosa fa un professore universitario. Se i professori facessero solo dell’insegnamento agli studenti iscritto ai corsi di laurea il provvedimento sarebbe solo stupido, ma non disastroso. La parte però più impegnativa del lavoro del docente universitario non consiste nel raccontare dati acquisiti a giovani studenti, ma nell’insegnare a persone che hanno uno specifico background culturale come si fa la ricerca giorno per giorno, ora per ora, consiste nella capacità di creare intorno a sé una massa critica di persone che sfruttino la sua esperienza, fattore essenziale almeno in campo biologico e medico, e aggiungano ad essa la loro fantasia e creatività, consiste nell’inserire i suoi collaboratori nei circuiti internazionali da cui arrivano quei fondi che il ministero non dà o dà in quantità risibile. Distruggere tutto ciò, che è fondamentale per fare andare avanti i centri di ricerca avanzata decapitando l’Università, è un atto distruttivo di cui si pagheranno per anni le conseguenze.
Quali sono le speranze perché ciò non accada. Un rapido ripensamento di questo governo (governo?) o del prossimo, o un intervento della magistratura. Un provvedimento fortemente lesivo dei contratti individuali di una categoria di persone dovrebbe avere buone probabilità di essere cassata dalla magistratura, come fortunatamente spesso avviene negli arditi provvedimenti che ogni tanto questo governo emana.
Infine un aspetto personale. Uno è convinto di essere un essere umano che ha aspettative, speranze, progetti e non di essere una cosa. Per il ministro no. I professori universitari sono merce che può essere scambiata o buttata via, se il ministro pensa che questo possa migliorare il bilancio del suo ministero e possa nascondere la sua incapacità di gestirlo. Si diceva che i grandi rivoluzionari amassero molto l’Umanità, ma poco i singoli individui. Le caricatura moderna del rivoluzionario mantiene intatta tale caratteristica.