“Io, madre, direi sì all’eutanasia per i miei figli”

Famiglia Gentili: Cesare, Carlo, Marco e Sabrina Bassi

Il racconto di mamma Sabrina: “Amo i miei figli ma quando servirà li porterò a morire”

Articolo di Maria Novella De Luca in prima pagina su la Repubblica – Può una madre desiderare l’eutanasia per i propri figli, ossia la morte, seppure una morte senza dolore? «No – risponde dolcemente Sabrina – no, anche il mio cuore si ribella, ogni giorno spero che la scienza ci doni una nuova cura. Ma se i tuoi figli si chiamano Carlo e Marco, vivono inchiodati a una carrozzina da quando erano bambini, tra poco non respireranno più da soli, se i tuoi figli questa scelta l’hanno lucidamente affidata a un testamento, come potrei io da madre negargli questa libertà?».

Sabrina Bassi è una donna mite che la vita ha reso d’acciaio. Travolta oltre i confini del dolore dalla nascita di due figli, Carlo e Marco Gentili, 35 e 30 anni, affetti da una rarissima forma di Sla2 “familiare”, una sclerosi laterale amiotrofica trasmessa loro da Sabrina e Cesare, i genitori, entrambi ignari portatori sani della malattia. La tragedia di quando la ruota della vita gira al contrario.

Una casa a piano terra nel centro di Tarquinia. Sul terrazzo le piante curate con amore da Cesare, 65 anni, prof di Lettere in pensione. Ovunque i diplomi di laurea e i master conquistati da Carlo, dottore al “Dams” e Marco, dottore in Scienze Politiche, co-presidente dell’Associazione Luca Coscioni. Sabrina, 62 anni, ex impiegata, oggi in cassa integrazione, li mostra con orgoglio, come farebbe ogni madre. Su una parete, una grande foto di Enrico Berlinguer. Carlo e Marco non camminano, non parlano, non si muovono, Carlo comunica con il puntatore oculare, Marco scrive al computer con un dito. Ma sentono, vedono, capiscono, gioiscono, soffrono.

Signora Bassi, c’è un orizzonte oltre il quale i suoi figli non vogliono andare?
«La tracheotomia. C’è un momento in cui con la Sla i polmoni collassano. Sia Marco che Carlo hanno scritto che lì si fermeranno. Sanno bene a cosa andrebbero incontro».

E lei?
«Ho paura. Penso alla mamma di Dj Fabo, al grande coraggio di accompagnare il suo ragazzo a Zurigo a morire. Non so se ce la farei. Magari al momento cercherei di trattenerli, è umano, me li vorrei tenere stretti, ma so che alla fine rispetterei, anzi rispetterò la loro volontà». (Mentre parliamo di Dj Fabo, Marco ascolta e piange).

Carlo oggi ha 35 anni. Come si è manifestata la malattia?
«Aveva un anno e iniziò a camminare in modo strano. I pediatri sostenevano che fosse un danno da parto. Nessuno capiva. Eravamo anni luce lontani dalle scoperte di oggi. Mi dissero che
avrei potuto avere un altro figlio. Quando in Marco ho rivisto gli stessi sintomi di Carlo il cuore è finito in pezzi».

Invece si è rialzata. Vi siete rialzati. Lei e Cesare.
«Abbiamo girato il mondo cercando una cura per i nostri bambini, che via via perdevano l’uso delle gambe, della parola, della postura. Ovunque con le loro carrozzine. Tira su, tira giù, prendili in braccio, portali. Affronta gli sguardi, la solitudine, i figli degli altri che correvano e parlavano. Ma loro hanno fatto tutto: il liceo, l’università, i master».

Siete eroici.
«No, siamo una famiglia. Lo sa che questa estate siamo andati in vacanza in Calabria? Hanno fatto il bagno in piscina, è stato bellissimo, ecco le foto».

Rabbia?
«È naturale no? A volte vorrei sbattere la testa contro il muro. La diagnosi è arrivata quando erano adolescenti, grazie ai medici del Gemelli. Non c’è cura. Ma io spero ancora».

Quale aiuto vi dà lo Stato?
«L’assegno di accompagno e un’assistenza domiciliare di quattro ore al giorno. Una goccia nel mare. Carlo e Marco hanno bisogno di tutto. Devono essere imboccati, girati, portati in bagno. Notte e giorno. Da trent’anni».

Una fatica che le parole non possono descrivere.
«Quando erano piccoli, a metà mattina, dovevo uscire dall’ufficio e correre a scuola per portarli al bagno, perché non c’era nessuno che volesse farlo. Ma oggi non è più nemmeno la fatica a farmi male».

Forse vederli soffrire?
«Sì, ed è per questo che per i miei figli chiedo una legge sull’eutanasia, umana e pietosa. Non hanno potuto scegliere nulla i miei ragazzi, almeno in questo devono essere liberi».

Marco ne ha fatto una battaglia politica.
«È co-presidente dell’Associazione Coscioni. Ma tutti noi siamo impegnati nella campagna Liberi fino alla fine, per il diritto all’eutanasia. Quanti malati senza speranza, quanti Dj Fabo, vorrebbero mettere fine a una vita che non ritengono più degna? Così prendiamo il pulmino e andiamo».

Su e giù con le carrozzine, ancora.
Sabrina ride: «Sono un’autista bravissima. E guardi che c’è anche allegria in casa nostra, Carlo e Marco sono ironici, ci prendono in giro, litigano tra di loro». (Carlo ride anche lui e si mette a scrivere con il puntatore oculare).

Marco e Carlo ci diranno addio quando i loro polmoni non funzioneranno più. E’ già possibile con la sedazione profonda.
«È vero. Ma la differenza è che Marco e Carlo vogliono essere loro a decidere il momento in cui morire. E morire bene. Sono i miei ragazzi, ma li amo così tanto che li lascerò andare».