Intervista a Mario Alberto Battaglia. La Fondazione Sclerosi Multipla <>.

Corriere della Sera

Uno dei punti caldi, anzi caldissimi, nell’accesa discussione sull’insufficienza cronica venosa cere/ brospinale (CCSVI) sono i dati dello studio CoSMo (acronimo che sta per: CCSVI, studio Osservazionale Sclerosi Multipla e Ond, ovvero Other Neurodegenerative Diseases), presentati il 12 ottobre scorso in occasione di ECTRIMS, European Committee for Treatment and Research in Multiple Sclerosis. Finalità dello studio: chiarire l’effettiva correlazione tra insufficienza venosa cerebrospinale cronica e sclerosi multipla che, secondo precedenti ipotesi suffragate da diversi studi, condotti anche dal professor Zamboni, si verificherebbe in oltre il 90 per cento dei casi. La ricerca CoSMo, fortemente voluta e finanziata da Fism e Aism (Fondazione e Associazione Italiana Sclerosi Multipla) con una cifra pari a 1,5 milioni di euro, e iniziata il 30 dicembre 2010 ed è terminata a settembre 2012. Nello studio sono stati analizzati con ecocolordoppler (ECD), 1.767 pazienti; di questi, 1.165 pazienti con sclerosi multipla, 376 pazienti con altre malattie neurodegenerative, 226 controlli sani. I centri che hanno collaborato allo studio sono stati 35. Tre “lettori” centrali hanno validato gli esami effettuati localmente da 26 sonologi. I risultati di CoSMo hanno portato alla conclusione che l’insufficienza cerebrospinale cronica era presente nel 3,26% delle persone con sclerosi multipla; nel 3,10% delle persone con altre patologie neurologiche e nel 2,13% delle persone sane. Rispetto alle cifre ipotizzate da altri studi una differenza clamorosa. Abbiamo parlato di CoSMo con Mario Alberto Battaglia, presidente nazionale dell’Aism (dal 1986 al 2007) e della Fondazione Italiana Sclerosi Multipla (dal 1998 ad oggi), vice presidente della Federazione Internazionale Sclerosi Multipla e professore ordinario di Igiene all’Università di Siena.

I dati di CoSMo per voi sono da considerarsi definitivi? «Non ho dubbi. Dai risultati emerge che non esiste una associazione tra insufficienza venosa cerebrospinale cronica e sclerosi multipla. La CCSVI non è una patologia legata alla sclerosi multipla: non c’è alcun motivo che possa indurre a curare la CCSVI per curare la sclerosi multipla».

Come giudicate le critiche rivolte a CoSMo: l’ecocolordoppler non basta per una diagnosi accurata; sarebbe servita anche una venografia o una risonanza magnetica… «Per CoSMo si sono utilizzati la metodologia e i criteri indicati dal professor Zamboni. E ad ECTRIMS, il Congresso europeo sulla sclerosi multipla, dell’ottobre scorso, è stata presentata una sperimentazione condotta negli Stati Uniti su un numero più ridotto di pazienti che ha avuto risultati simili ai nostri, confermati anche con le altre tecniche diagnostiche».

Altre ricerche hanno tuttavia evidenziato una correlazione tra sclerosi multipla e CCSVI ben diversa rispetto ai risultati dello studio CoSMo? «La metodologia adottata, le procedure in cieco (i revisori centrali non vedevano i pazienti e non potevano quindi sapere in che condizioni di salute erano rischiando di farsi influenzare nelle loro valutazioni, n.d.r.) il disegno multicentrico, la formazione data a chi eseguiva gli esami, unite all’ampio campione, sono caratteristiche che distinguono lo studio CoSMo da tutti gli altri studi precedenti».

Come mai i dati raccolti in “periferia”, dai sonologi del diversi Centri coinvolti nello studio CoSMo, mostravano una frequenza di CCSVI decisamente più alta di quella poi ritenuta definitiva dal comitato dei tre esperti che hanno revisionato tutti i dati? «Innanzitutto, anche se i dati esaminati dai lettori periferici evidenziavano un numero maggiore di casi definibili come CCSVI, non c’era differenza significativa tra persone con sclerosi multipla, controlli sani e controlli con altre malattie neurologiche. Quindi si conferma la non correlazione tra CCSVI e sclerosi multipla. La lettura “in cieco”, locale e poi quella su esami registrati, al momento della revisione centrale, è una garanzia fondamentale».

Perché avete deciso, come Associazione Italiana Sclerosi Multipla, di non finanziare la sperimentazione Brave I)rearns (si veda sotto) dopo esservi dichiarati disponibili inizialmente? «Il motivo per cui, lo scorso anno, il Comitato Scientifico dell’Associazione ritenne di non finanziare Brave Dreams fu la volontà di tutelare la sicurezza delle persone con sclerosi multipla. Il comitato ritenne che finanziare uno studio clinico randomizzato, controllato con un gruppo che non fa il trattamento, in un gran numero di soggetti, fosse prematuro: è prematuro sino a quando non si avrà una forte evidenza di un’associazione causale tra CCSVI e SM, correlazione che, con lo studio CoSMo, è stata sinora smentita».