Il viaggio nella speranza dopo la diagnosi. La storia di Graziella V.

Corriere della Sera

Una corsa a piedi nudi e controvento, la battaglia sul campo della sclerosi multipla. Definizione poetica, quella plasmata da una malata. Graziella V., 47 anni, di Torino, ha corso per diciotto anni. E adesso è finita su una sedia a rotelle. «La mia storia di malattia inizia nel 1995» racconta. Fino ad allora, solo sintomi poco decifrabili, per lei come per i medici. Ultima di cinque figli di una coppia del sud, emigrata a Torino negli anni Cinquanta, Graziella ha assorbito l’energia della sua terra tramutandola in un dinamismo incontenibile. Dopo la laurea in giurisprudenza, subito trova lavoro come responsabile dell’ufficio legale di una società. Esce con i tanti amici, ama la musica, coltiva la sua passione: fotografare la natura, soprattutto d’autunno. LA «SENTENZA» «Un giorno, all’ennesimo strano attacco: in preda alla confusione mentale e a una crisi di panico, sono arrivata in lacrime al Pronto soccorso dell’ospedale Martini, il più vicino a casa mia. Il caso vuole che fosse di turno un neurologo: mi ricovera, mi fa gli esami giusti e arriva alla diagnosi». Nei successivi cinque anni, la malattia di Graziella resta in silenzio, lei si sente solo più stanca e ha un’autonomia più limitata nelle camminate. Più o meno nello stesso periodo, a Ferrara il chirurgo vascolare Paolo Zamboni inizia ad occuparsi della sclerosi multipla, perché è stata diagnosticata alla moglie Elena. Quello che si sa della malattia non gli basta, e non lo convince del tutto. Mala teoria sulla CCSVI, l’insufficienza cronica venosa cerebrospinale, come concausa della grave patologia neurologica, è ancora solo un’idea abbozzata nella mente di Zamboni. Nel 2000, quando ormai quella diagnosi di cinque anni prima è quasi dimenticata, la sclerosi torna ad azzannare Graziella. Le possibilità di cura sono totalmente affidate ai farmaci. «Soltanto un mese prima, i medici si erano ricreduti sulla diagnosi di sclerosi multipla, optando, invece, per un episodio isolato di encefalomielite acuta disseminata. A questo punto tornano sui loro passi, e mi propongono come terapia l’interferone: iniezioni sottocute tre volte la settimana. Lo prendo per due anni. I suoi pesanti effetti collaterali a partire dalla febbre cominciano a distruggermi la vita». SOLO UNA TREGUA Due anni dopo Graziella rimane incinta. «La gravidanza va benissimo, perché è una specie di “zona franca” nella sclerosi multipla. Molti medici dicono che il sistema immunitario del figlio protegge quello della madre anche nella sclerosi». Purtroppo, un anno dopo il parto, la malattia comincia la “virata” verso la forma peggiore: la secondaria progressiva. Nel 2005 Graziella decide di mettersi in cura in una struttura piemontese “dedicata” alla sclerosi multipla. «Nel nuovo centro attaccano subito a farmi il mitoxantrone, un chemioterapico specifico. Al di là di altri effetti indesiderati, il farmaco mi toglie le mestruazioni e così a 40 anni mi ritrovo già in menopausa, con tutte le conseguenze, anche psicologiche, di questa “perdita”». La progressione della malattia, però, non rallenta. Siamo nel 2008. In dicembre, Paolo Zamboni pubblica online uno studio sui primi 65 malati di sclerosi multipla sottoposti ad angioplastica per insufficienza cronica venosa cerebrospinale. I risultati sono incoraggianti. E si scatena il finimondo. L’anno che segue vede montare in Italia uno “tsunami” di tanti malati che vogliono sottoporsi all’angioplastica — la “liberazione”, cosi la definiscono —, quasi ribellandosi ai neurologi, scettici verso Zamboni, e alle cure farmacologiche. Anche all’estero ormai si parla parecchio di CCSVI e fioriscono gli studi, dai risultati alterni; nel mondo accademico infuriano le polemiche, ma il “metodo Zamboni” si diffonde senza sosta e il professore tiene corsi per garantire la formazione a colleghi che intendono seguirlo. Sempre peggio. Graziella, intanto, peggiora. Smette di guidare e nei tragitti un po’ lunghi inizia a usare la carrozzella; a casa ce la fa ancora a camminare con il deambulatore. Per fortuna, la sua azienda le dà la possibilità di guadagnarsi lo stipendio con il telelavoro. Da allora farà una vita sempre più da “reclusa”. «Quando sei in queste condizioni non hai voglia di uscire. Non ti piaci. Non è bello passare davanti alle vetrine e vederti in carrozzella, con la pancia. Inoltre, restando in casa, dove c’è poca luce, subentra la carenza cronica di vitamina D, tipica dei malati di SM progressiva». Per lei cominciano a farsi sentire sempre maggiori le difficoltà del vivere quotidiano, ma almeno ha i suoi familiari che la sostengono. La sorella le trova un aiuto. A pagamento, ovvio. «Però è tutto molto difficile, a partire dall’educazione di mio figlio. Perdo autorevolezza perché non ho più la stima di me stessa che avevo un tempo. Non ho più neppure l’autorità. Avessi le gambe buone, quando mio figlio non vuole spegnere la Tv, mi alzerei e gli direi: bello, spegni e fila di là a lavarti! Ora lui cresce nell’anarchia e non ha più rispetto per me». Tra il 2009 e il 2010, la teoria di Zamboni esplode sul web. Tra i malati di sclerosi multipla si creano due vere fazioni, “tradizionalisti” e “zamboniani”, sotto le rispettive insegne delle associazioni Aism e CCSVI per la SM-Onlus. Quest’ultima associazione può contare anche sul “peso” mediatico di Nicoletta Mantovani, vedova di Luciano Pavarotti, anche lei malata di sclerosi multipla. I pazienti non vogliono aspettare: così proliferano i centri (soprattutto quelli privati) per la diagnosi di CCSVI e per l’intervento; aumentano anche i “viaggi della speranza” all’estero. Nell’ottobre del 2010 il Ministero della Salute decide di intervenire: l’angioplastica — si dice in pratica — è, in sé, un metodo consolidato; in relazione alla sclerosi multipla si raccomanda di seguire la strada degli studi controllati. Netta è, invece, a novembre, la presa di posizione del presidente della Società italiana di neurologia, Giancarlo Conti: gli associati — è il succo del messaggio — si astengano dal collaborare a qualsiasi studio sulla CCSVI. LA «LIBERAZIONE» Anche Graziella viene a sapere dell’insufficienza cronica cerebrospinale, tramite Facebook, sulla pagina di uno dei tanti gruppi di pazienti. E decide di tentare. I risultati le appaiono «stra-bi-lian-ti». Invece, la “liberazione” dura solo un mese. Il tempo di affacciarsi all’anno nuovo. Quel 2011 è “infausto” per Graziella e anche per la CCSVI. A marzo, il Consiglio Superiore di Sanità dà un parere molto restrittivo sulla possibilità delle strutture pubbliche di effettuare angioplastiche in pazienti con sclerosi multipla; Regioni e Asl devono tenerne conto. A luglio il Ministero della Salute si allinea: interventi solo nell’ambito di sperimentazioni, autorizzate da Comitati etici. A ottobre vengono resi noti i risultati dello studio italiano CoSMo, che conclude per l’inesistenza di un nesso causale tra l’insufficienza cronica cerebrospinale e la sclerosi multipla. Un’ altra sperimentazione, però, prende il via sul fronte opposto. E lo studio italiano multicentrico Brave Dreams, per verificare efficacia e sicurezza dell’intervento proposto da Zamboni, la sperimentazione più corposa fatta finora, interamente finanziata dalla Regione Emilia Romagna. Negli ultimi mesi, le richieste di angioplastica per pazienti di sclerosi multipla, nei pochi Centri pubblici che ancora operano dopo le disposizioni del Ministero della Salute e nei Centri privati che hanno continuato ad operare, schizzano alle stelle. Forse, anche trascinate da rinnovate dichiarazioni di Nicoletta Mantovani e da titoli di stampa che la definiscono “guarita” dalla sclerosi grazie al metodo del professore di Ferrara. LA FORZA DI LOTTARE Negli ultimi dodici mesi, invece, Graziella sta confrontandosi con il brusco e doloroso ritorno alla situazione preintervento. «Nella mia cartella clinica, all’ospedale dove oggi sono in cura, il neurologo, scrivendo dei miglioramenti che ho oggettivamente ottenuto con l’intervento, ha annotato: “il paziente riferisce soggettivamente…”. E quando mi si sono richiuse le vene, ho percepito in alcuni medici un sottile compiacimento,- come se mi dicessero: “Hai visto?”. Ma io non torno indietro, voglio fare un altro intervento. Aspetterò la primavera. Una nuova primavera».