Mi è capitato di portare una persona di famiglia che aveva avuto un ictus al pronto soccorso dell’ospedale più grande e più popolare di Roma, il Policlinico Umberto I. Subito ammessa col bollino rosso, la persona in questione è stata sistemata su un lettino e lì ha atteso — e noi con lei — ben sei ore prima di essere ricevuta dai medici.
Non ero mai entrata nella sala d’attesa del pronto soccorso e devo dire che sono rimasta sconvolta. Una confusione di barelle e lettini sparsi in mezzo alla sala senza nessun ordine, su cui giacevano giovani e vecchi: chi aveva avuto un infarto, chi una gamba rotta, chi una occlusione intestinale, chi portava un occhio bendato. I parenti andavano su e giù intralciando il passo ai medici ma nessuno poteva impedirglielo visto che i malati erano abbandonati a se stessi e anche per un poco d’acqua dovevano rivolgersi ai loro cari. I lamenti si mescolavano alle proteste. Ciascuno pretendeva di fare passare davanti agli altri il proprio malato perché il suo caso era «più urgente» degli altri. Le infermiere volenterose erano in preda alla confusione. Correvano frettolose da una porta all’altra senza badare alle lagnanze dei malati, ma soprattutto alle proteste rabbiose dei parenti che premevano per fare visitare il proprio caro.
Ho saputo di altri che al San Camillo vengono visitati per terra, perché le barelle e i lettini sono tutti occupati, come succede in certe zone disperate dell’Africa nera dove manca la luce e l’acqua. Questo lo raccontano in un bel libro appena uscito, i volontari di Medici senza frontiera, che lavorano in zone di guerra, a corto di disinfettanti, spesso a corto di medicine, col solo ausilio della buona volontà. Dovremmo davvero ricominciare col volontariato — la parte migliore e più preziosa del nostro Paese di cui non si parla mai — sia in politica che nelle professioni di servizio.
Possibile che, come racconta Ignazio Marino, nel Lazio ci sono 1600 unità operative, capeggiate ciascuna da un primario che prende un alto stipendio? «Quanti di questi primari sono davvero necessari?» si chiede saggiamente Marino e perché, aggiungiamo noi, non sono mai stati fatti questi conti in tanti anni di pessima amministrazione che hanno ridotto Roma a una città del terzo mondo? E che dire dell’annosa questione dei parti cesarei? Uno scandalo solo italiano, dove un parto su due viene affidato al bisturi del chirurgo — e mai di sabato o di domenica — come è stato osservato, secondo i comodi dei medici e degli ospedali, che per ogni operazione prendono un lauto compenso. La stessa cosa avviene per i trapianti. Che a parte quelli da cadavere, su cui ci sarebbe molto da dire per una legge che è stata boicottata e negata, vengono scoraggiati perfino quelli fra viventi, praticati in tutto il mondo, per portare avanti la lucrosa pratica delle dialisi ospedaliere. Occorre veramente una rifondazione etica che riguardi il servizio pubblico. Senza una riconquista dell’etica pubblica ricadremo sempre negli stessi errori. Etica che non vuol dire dichiarazione astratta di buone intenzioni, ma prassi severa: regole, trasparenza, meritocrazia, conti in ordine e attenzione alle spese.
L’Associazione Luca Coscioni è una associazione no profit di promozione sociale. Tra le sue priorità vi sono l’affermazione delle libertà civili e i diritti umani, in particolare quello alla scienza, l’assistenza personale autogestita, l’abbattimento della barriere architettoniche, le scelte di fine vita, la legalizzazione dell’eutanasia, l’accesso ai cannabinoidi medici e il monitoraggio mondiale di leggi e politiche in materia di scienza e auto-determinazione.