Il corpo della democrazia

Forse sta qui a morire, Marco Pannella. Qui nell’atrio di questa clinica a pochi passi dal mito anni Sessanta del Piper, una Madonna (da intendere Nostra Signora della Mercede, cui la struttura è degnamente intitolata) che scruta bianca e alta dall’angolo del cortile, suore che passano e guardano e sorridono – pure se Pannella  sgrana gli occhi, e rovescia ogni tanto un raucoso, strozzato (e affettuoso: d`impazienza, d’affetto) “non capisci un cazzo!”, e sul tavolino lì davanti mucchi di vecchi numeri di Famiglia Cristiana e pure della mariana rivista l’Eco di Bonaria.

Forse sta per morire, Marco. Forse Marco non morirà mai. Forse Marco fa finta – come sempre, come sempre  dicono i suoi detrattori. Forse è molto generoso – così da buttare cuore e respiro e reni sul piatto della causa  derelitta (nobile altroché, figurarsi: ma nessuno intanto osa sfiorarla, come se fosse viscidissima cosa – se non con elevatissimi pensieri e bassissima azione) dei carcerati.

Forse è molto scaltro. Forse è un po’ pazzo, persino. Ma è qui, qui sta: su questa poltrona bianca che si consuma e si prosciuga, che spalanca una bocca con grandi denti e fiato d’arsura e respiro di stoppia bruciata, labbra ferite e bianche – vorresti versarci dell`acqua, vorresti dirgli: beh, dài, almeno sorseggia ancora un po’ della tua pipì… Ti stringe, ti abbraccia, ti bacia. Ti fulmina con lo sguardo ridente e un po’ spiritato, con occhi che sembrano adesso quelli del nonno di ET, ti ringhia e ti tende le braccia: “E questo rompicoglioni qui?”. Te lo aspetti con il pigiama, abbandonato su un letto. Invece ha il suo solito doppiopetto blu (doppiopetto che, causa magrezza che scava e s’avanza, praticamente di ora in ora, è ormai un triplopetto, un quadruplopetto), la coloratissima cravatta, comodi jeans, allegre bretelle.

Ma Pannella è diverso da Pannella, stamattina – forse il Pannella di cento altre volte, di cento scioperi della fame, di altre dolorose torture autoimposte con la sete, ma certo non il Pannella tondeggiante, volteggiante, bello e candido come un satollo e peccaminoso abate settecentesco. Così oggi è pieno di spigoli, di guglie come una cattedrale gotica, di capelli che avvampano disordinatamente, di mani mutate in artigli che afferrano.

Ha sempre furia e fretta, Pannella, anche quando il pane e l`acqua mancano, e parole e respiro con loro – e gratta il respiro residuo, e hanno la consistenza delle pietre le parole, ma non una ne risparmia Pannella, e sempre replica e spiega e ti sommerge. Con l`urgenza che pare moltiplicarsi proprio con le forze che si sottraggo- no – con furia e fretta, appunto. La sua struttura toracica – similie ar Gregorio guardiano der pretorio: c’ho du’ metri de torace – è intatta, ma appare svuotata, galleria evacuata e cieca: grande e insieme fragile. Tutti ti dicono di smetterla… Sgrana gli occhi come davanti all`osservazione più cretina. “Non smetto perché non posso smettere! Lo capisci? Non facciamo questo per ottenere del potere, noi aiutiamo mostrando non i muscoli, ma il nostro magrore (magrore, dice, non magrezza, ndr)… Trasferiamo la nostra energia immateriale, il nostro spirito…”.

Così, solo sulla poltrona bianca – e la Bernardini e Rovasio lì a fianco,  e Sergio Stanzani, con le sue stampelle, che lo fissa amorevole e curioso, e lui che lo fissa amorevole e furioso: “Non capisci più un cazzo, c’hai novant`anni, sei morto! Dai, un bacio…”. C’è il mondo fuori, e tutte le storie e le lotte del suo mondo grande più di ottant`anni che arrivano e sì affollano intorno l`amnistia e la lista per  le elezioni, il Vesuvio, il segretario nel Mali, il militante malmenato al Cairo, le accuse ripetute e ampliate a Napolitano, la commozione che s`affaccia negli occhi grandi quando ricorda il cardinale Wojtyla  che lo ascoltava a Teleroma – a testimone vorrebbe chiamare Petroselli, che purtroppo  è morto, e Rutelli, che “è vivo”.

“Diceva: Pannella ci vuole bene, Dio ce l’ha dato, guai a chi ce lo tocca”. Ora pesa 73 chili, ieri erano 74- ha perso 800 grammi in poche ore – lui immenso, quintalata abbondante…  E tutti a dire che deve smetterla, giusta e saggia la sua battaglia, ma la piantasse di fare il matto… Così insopportabile, così indispensabile. Chissà se muore, Pannella. Elegante morirebbe, però. Ma no, verrà l`acqua, c`è sempre la pipì, forse l`attesa voce giungerà. Ma sì, che è pure capace di morire, questo qui – una sua bella  morte, che mica bella era quella degli sciagurati di nero vestiti. Sei solo? Ti sorride quel sorriso che la magrezza estrema muta in ghigno – amichevole, però. Solo non è, assicura, solo non si sente: neppure tra i cattolici con l`eutanasia, neppure lo era tra i comunisti con il divorzio…

È venuta la Severino, ha lasciato una lettera, per niente soddisfacente. E parlerebbe sempre,  Marco – anche senza voce, anche mentre la lingua brucia e raspa come se fosse inghiottita dalla sabbia. Ha mangiato qualche caramella, con puntiglio le elenca – per poter parlare, ancora e sempre parlare. Sbuffa, abbraccia, sorride, bacia, “cazzo!”, urla, e di nuovo sorride. “Non posso continuare a non fumare”. Afferra il mezzo toscano, un altro bacio e Marco va. A fumare – con dissennato, bel disordine. Non a morire. Non
ancora. Non ora.