Il cordone ombelicale donato vale di più

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Venerdì di Repubblica
Giulia Villoresi

Il cordone ombelicale è preziossimo ma ancora non si fa abbastanza informazione a riguardo. Contiene cellule staminali che aiutano a curare 80 patologie, anche gravissime. E queste cellule funzionano meglio quando provengono da un estraneo, a dimostrazione dell’importanza della donazione.

Da quando l’ematologa Eliane Gluckman eseguì il primo trapianto di cellule staminali ottenute da cordone ombelicale sono trascorsi quasi trent’anni. Il paziente era un bambino di cinque anni affetto da una rara forma di anemia, dall’esito quasi certamente infausto. Invece guarì.

A oggi i trapianti di Sco (staminali del sangue del cordone ombelicale) sono stati più di 30 mila. Un successo enorme, che appariva già scritto nelle proprietà di quelle cellule: le staminali, cellule «madri» in grado di trasformarsi in tutte (totipotenti) o in molte (multipotenti) delle cellule che compongono il nostro corpo. Quelle del cordone si definiscono ematopoietiche perché, come quelle del midollo osseo, sono in grado di rigenerare tutte le cellule del sangue, ma a differenza delle midollari sono molto più facili da prelevare e hanno un rischio di rigetto più basso.

Leucemie, malattie genetiche e autoimmuni, lesioni spinali: oggi oltre ottanta patologie possono essere curate con un trapianto di Sco. Peccato che in Italia, come dichiara Francesco Zinno, docente di Immunoematologia all’Università di Tor Vergata, «oltre 95 per cento dei cordoni venga gettato come rifiuto speciale». Troppo, se si considera che, solo parlando di leucemia, si ammalano ogni anno 5 bambini ogni 100 mila abitanti (datiAirc).

Come evitare che questa risorsa venga sprecata? Donando il cordone. Attenzione: donandolo e non conservandolo in banche private. La questione non è puramente etica: l’utilità della conservazione autologa, cioè quella a uso privato del donatore, manca di basi scientifiche. Per questa ragione Italia e Francia l’hanno vietata, uniche in Europa. E tuttavia si stima che a oggi le società italiane di intermediazione abbiano esportato in banche estere più di 60 mila unità di Sco, per una spesa di oltre 150 milioni di euro.

Per la cosiddetta evidence-based medicine, la medicina basata su prove di evidenza, si potrebbe parlare di truffa. Anzitutto, il trapianto di Sco è più efficace quando le cellule non sono completamente compatibili (se appartengono al donatore tendono a non riconoscere come estranee le cellule malate, e non le attaccano), inoltre, la vitalità cellulare diminuisce dopo dieci anni di conservazione, mentre la maggior parte dei tumori del sangue insorge in tarda età; a questo si deve aggiungere che molte biobanche non effettuano analisi sul campione, che spesso è in quantità insufficiente (talmente spesso che in Italia solo il 15 per cento dei campioni viene giudicato valido).

Tirando le somme, la possibilità che un donatore tragga beneficio dal proprio Sco nei primi vent’anni di vita si aggira attorno allo 0,0001 per cento. La conservazione autologa, poi, sottrae staminali alla ricerca; scelta improvvida, perché quelle ematopoietiche potrebbero avere risvolti clinici importantissimi: Timothy Brown, noto anche come «il paziente di Berlino», è l’unica persona al mondo a essere guarita dall’Hiv. E questo in seguito a un trapianto di staminali midollari.

A partire da questo caso la Spagna ha annunciato la prima sperimentazione al mondo sugli effetti di trapianto di Sco su cinque pazienti affetti da Hiv.