I veleni di Tito Scalo

ex liquichimica tito scaloAssenza di controlli e di bonifiche per vent’anni. E ora Maurizio Bolognetti, segretario dei Radicali lucani, fa riesplodere il caso dei fanghi tossici. Con una video inchiesta e un esposto alla procura
«Sono stato un incosciente ad andare a fare il sopralluogo nei terreni senza mascherina, camminando tra i fanghi. Ho avuto mal di gola per due giorni ma volevo vedere con i miei occhi cosa c’è nascosto». Così esordisce Maurizio Bolognetti, segretario dei Radicali lucani, che ha fatto tornare sotto i riflettori mediatici lo scandalo della discarica industriale dei terreni di Tito Scalo.

«Girando per i territori dell’area dell’ex Liquichimica, sono stato assalito da un paesaggio infernale: il silenzio, lo stato di abbandono, non un insetto, tutto aveva l’odore sinistro della morte e della putrefazione. Avevo come la sensazione di camminare su un materasso ad acqua, solo che sotto i miei piedi non c`era acqua ma veleno: rifiuti tossici nocivi». Descrive così il suo "giro panoramico" in mezzo alla discarica, che ha fatto insieme al tenente della polizia provinciale Giuseppe Di Bello per documentare la video inchiesta del 16 luglio sulla vicenda (http://www.fainotizia.it/inchiesta/ ambiente-e-salute-i-veleni-di-tito). Siamo in Basilicata, l’immagine è quella di una regione fantastica, con una natura incontaminata ma Tito Scalo, comune di 7.000 abitanti in provincia di Potenza, è un vero e proprio inferno; un territorio di interesse nazionale a causa dell’inquinamento industriale. La zona è annoverata come una tra le più alte a rischio perla salute. Si muore infatti di tumore, molto più che in altre parti d’Italia. Sepolte 250mila tonnellate di rifiuti industriali, in teli neri di pcv, in profondità nel terreno, a pochi metri dello stabilimento della ex Liquichimica. Sopra e ai lati sono ricoperti di fosfogessi, di colore bianco: residui delle attività di produzione di fertilizzanti. La superficie è di 59mila metri quadri all`interno dell’area Consorzio Asi. L’emergenza qui scoppia nel febbraio 2001, quando alcuni sopralluoghi portano al ritrovamento di una discarica abusiva, caratterizzata da residui accumulati nel ventennio 1981-2001, da dopo la chiusura della Liquichimica. Il sito viene dichiarato "d’interesse nazionale da bonificare", e intanto venivano scoperti anche "rifiuti di diversa origine”: «Con ogni probabilità si tratta di rifiuti di provenienza anche extra regionale – spiega Bolognetti – è quasi certo che qualcuno si sia arricchito facendo affari col traffico dei rifiuti. Ecomafie».

Nessuno, però, in quegli anni portò all’attenzione della stampa la questione, e la vicenda fu insabbiata. Bisognerà aspettare l`8 luglio del 2002, perché si riprenda a parlare dei terreni di Tito Scalo. Con un decreto del ministero dell`Ambiente, infatti, viene stabilita la perimetrazione del sito, e parte la fase di caratterizzazione, cioè la fase in cui vengono accertate le effettive condizioni di inquinamento. In seguito a questo, sono stati stanziati molti soldi ma la realtà è che ci sono stati pochissimi controlli, e ancor meno bonifiche. Nel 2006, la Daramic srl, azienda che fino allo scorso anno produceva separatori per batteria a Tìto, si autodenunciava per aver provocato «un pesante atto di contaminazione della falda acquifera e del terreno da tricoloroetilene, tricloroetano, dicloroetilene, bromodiclorometano, cloroformio, bromoformio, cloruro di vinile monomero, esaclorobutadene, tetracloroetilene, sommatoria organoclorurati e idrocarburi totali». Sostanze considerate tossiche, cancerogene e persistenti, che sono state ritrovate in percentuali un milione di volte superiori ai limiti consentiti. La fuoriuscita di quella che è conosciuta a tutti come trielina ha contaminato la falda acquifera e i suoli. L’iniziativa radicale, prende il via con una lettera anonima indirizzata a Bolognetti. Nella busta, il verbale di una conferenza di servizi decisoria tenutasi a Roma lo scorso 22 dicembre 2008. Ordine del giorno dell’incontro tenutosi negli uffici del dell’Ambiente, «lo stato di attuazione delle attività di caratterizzazione e di messa in sicurezza di emergenza sul sito di interesse nazionale di Tito». Il ministero afferma «… a distanza di tre anni e mezzo le aziende e gli altri soggetti interessati hanno dimostrato interesse e volontà nell’adoperarsi per conoscere e quindi, ove possibile, limitare la diffusione dell’inquinante che rappresenta un pericolo per la salute umana».

In seguito al verbale dei ministero e a un dossier del 24 marzo 2009 a cura di Pietro Dommarco, presentato dall’Ola, Organizzazione lucana ambientalista, si riaccende l’interesse sulla vicenda anche con l’aiuto dell’Associazione Coscioni e dei deputati Radicali. Viene presentata un’interrogazione parlamentare per la bonifica del sito e parte una raccolta di firme per la petizione al sindaco e ai consiglieri di Tito Scalo. Tra le richieste avanzate, quelle di un maggior tasso di trasparenza e informazione su tutta l’intera vicenda. La situazione si fa sempre più critica, infatti è già in atto l’inquinamento del fiume Basento e del fiume Tora. Così con tutte le novità acquisite negli ultimi mesi, grazie alla video inchiesta e a tutti gli altri documenti raccolti, il 20 agosto scorso Bolognetti consegna un esposto alla Procura della Repubblica di Potenza, con tanto di conferenza stampa davanti alla sede del Tribunale potentino. «Già nel 1995 si parlava della necessità di bonificare la discarica dai fosfogessi. Fu redatto un progetto dalla società Ecosistemi. Nel 1996 i fanghi presenti nell’area erano stimabili in circa 170mila tonnellate. Dal 1996 al 2001 si ha un ulteriore incremento dei fanghi presenti, a seguito di un’operazione che definire folle e criminale è puro eufemismo. Nel 2001, si ha il sequestro della discarica e la stima dei fanghi presenti, fatta per difetto, sale a 250mila tonnellate», riepiloga davanti ai giornalisti il segretario dei Radicali Lucani. Poco meno di un mese fa, il ministero dell’Ambiente inviava una sorta di ultimatum a Regione, Provincia e Consorzio Asi, invitando ognuno ad adempiere, secondo le proprie competenze, agli interventi necessari per la bonifica dell`area. Ma sono vent’anni che vanno avanti i misteri, i rimpalli di competenze, lo scaricabarile della politica.

L’ intervista a Marco Cappato Segretario dell’associazione Luca Coscioni
Dissesto ideologico
Come è possibile che non sia avvenuta nessuna bonifica?

È avvenuto molto peggio. Nessuno ne sa nulla, nessuno ha potuto conoscere i dati reali su quali siano i livelli di contaminazione, quali siano i rischi per la salute umana, quanti soldi siano stati buttati via. Senza il verbale "segreto" del ministero della Salute, reso pubblico dal radicale Maurizio Bolognetti, nessuno avrebbe mai saputo nulla di questa vicenda. Ancora adesso, la Regione Basilicata è riuscita a non dare alcuna risposta.
Quanto è colpa della politica?
La Basilicata è una delle regioni italiane dove è più chiaro come il dissesto idrogeologico sia il frutto avvelenato di quel "dissesto ideologico" prodotto da sessant’anni di un regime fondato sulla corruzione e sull’illegalità. E non parlo solo della politica, dei partiti. Cosa dicono i magistrati che operano in Lucania? Avrebbero mezzi ben superiori a quelli di Bolognetti per indagare, no? E i sindacati dei lavoratori? E quelli delle imprese?
Voi Radicali, come pensate di fare?
Innanzitutto, in Basilicata come a Roma, noi ci battiamo per mandare a casa finalmente, dopo sessant’anni, questo regime. Se fosse Bolognetti il presidente della Regione, i cittadini lucani potrebbero star sicuri che dopo poche ore saprebbero tutto sui veleni di Tito.
I rifiuti tossici sono nocivi perla salute ma perché i cittadini non si ribellano?
I cittadini di Tito, almeno quelli che sanno quello che sta accadendo, hanno paura o si sono rassegnati. Eppure sono gli unici che potrebbero fermare i potenti che li stanno avvelenando.