I robot che restituiscono il cammino

Corriere della sera
Simone Fanti

Un vociare allegro e spensierato accoglie il visitatore del centro di riabilitazione pediatrica di Santa Marinella in provincia di Roma. Colori accesi e bambini di tutte le età che vestono strani macchinari robotici occupano i corridoi e le stanze destinate a palestra. Sembra di stare dietro alle quinte di un film di fantascienza. E invece no. È il Marlab, il laboratorio di analisi del movimento e neuroriabilitazione robotica dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, il centro dove si sperimentano nuove metodologie e nuove attrezzature bio-niche per favorire il recupero funzionale e motorio dei bambini, dai 4 ai 16 anni circa, con lesioni di natura neurologica. Una competenza che in brevissimo (visto che è stato inaugurato nel 2011), ha trasformato la struttura in un polo di riferimento internazionale con 5 mila accessi in day hospital l’anno, più di 4 mila prestazioni ambulatoriali di riabilitazione e oltre 12 mila giornate di degenza.

Un approdo della speranza per le famiglie e per loro, quei bambini vocianti (i Marco, i Mattia, le Sara e le Anna) alla prese con una sfida più grande di loro: provare, forse per la prima volta nella loro vita, a muovere quel passo che forse lì aiuterà nel loro percorso di crescita. Sono loro i veri beneficiari della «sfida quotidiana che ci siamo imposti — spiega Enrico Castelli, responsabile dell’unità operativa di Neuroriabilitazione di Palidoro, nei pressi di Fiumicino, e Santa Marinella — vogliamo capire se le tecnologie che qui sviluppiamo con il dipartimento di Meccanica e Aeronautica dell’università di Roma Sapienza e con il Mit (Massachusetts Institute of Technology) di Boston consentono di recuperare più abilità rispetto all’approccio tradizionale. Pensate che il 45 per cento dei bambini con paralisi cerebrale non riesce ad arrivare a camminare. Il nostro obiettivo è quello di abbattere questa percentuale».

Per i piccoli pazienti diventa quasi un gioco: vestendo queste attrezzature fatte di motori, chip e collegamenti, si immedesimano nei panni di mitici eroi traghettati in una realtà virtuale a combattere contro il male che li affligge: paralisi cerebrale infantile o lesione midollare o tumore della fossa cranica e lesione del cervelletto che gestisce l’equilibrio. Nel loro cervello, talvolta ferito da una disabilità speso inspiegabile, si attivano milioni di sinapsi che grazie alla ripetitività del gesto (fino a 14 mila movimenti all’ora) modificano il comportamento scorretto sostituendolo con uno più idoneo. «Sfruttiamo la plasticità cerebrale dei bambini — prosegue Castelli — per ottenere miglioramenti». Siamo ancora nel campo della sperimentazione, ma gli esperti stanno già valutando i risultati: un’importante evidenza scientifica che consente di indirizzare al meglio gli sforzi innovativi.

Come nel caso di Mit manus (disponibile dal 2006 e modificato a Roma per l’uso di bambini a partire dai 4 anni) un robot, meglio sarebbe dire un ausilio bionico per la riabilitazione dell’arto superiore, o Anklebot, l’equivalente per la caviglia realizzato dal Bambino Gesù in collaborazione con il Mit di Cambridge, negli Usa. Oppure Wake-up (Wearable Ankle Knee Exoskeleton), il prototipo di un dispositivo robotico per la riabilitazione dei giunti articolari di caviglia e ginocchio in bambini con danni neurologici causati da ictus o da paralisi cerebrale infantile. Un fiore all’occhiello dell’innovazione italiana, la sua realizzazione e progettazione è interamente avvenuta nel territorio laziale, come Sarà, un altro prototipo di esoscheletro (struttura portante dotata di motori che consentono il movimento), dal peso limitatissimo che ne consente l’uso su bambini molto piccoli.