I confini del testamento biologico

di Francesco Casavola
living willliving willLe difficoltà finora incontrate dalle proposte di legge per introdurre anche in Italia il cosiddetto testamento biologico possono ricondursi alla eventualità, da alcuni temuta, da altri auspicata, che in quel documento possa collocarsi una richiesta di eutanasia. Testamento biologico è traduzione in italiano della espressione inglese «living will», che indica il testamento sulla vita, vale a dire direttive anticipate sul trattamento medico della fine della vita, redatte quando l’interessato è in stato di piena coscienza e libera volontà. Ma qual è il valore di simili direttive per il medico, che ne è il naturale destinatario? Nel 1997, gli Stati aderenti a quel Consiglio d’Europa, fondato nel 1949, per promuovere e tutelare le libertà fondamentali dell’individuo, firmarono a Oviedo una Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina, in cui all’articolo 9 si prevede che i desideri precedentemente espressi dal paziente, che al momento di un trattamento medico non è in grado di manifestare la sua volontà, saranno tenuti in considerazione. Il principio qui postulato è quello dell’autodeterminazione del malato alle cure, o con altra formulazione del consenso informato, che evoca quella alleanza terapeutica, che dovrebbe guidare la relazione medico e paziente. Ma se così è, non è troppo debole quel risultato dei desideri di cui si dice dalla Convenzione di Oviedo che saranno presi in conto?
Non si conferma qui la superiorità del medico, per il suo sapere scientifico e per la esperienza clinica, in grado di disattendere le richieste del malato? Il 18 dicembre 2003, il Comitato nazionale perla bio etica approva un documento assai importante per dare effettività nel nostro ordinamento alla Convenzione di Oviedo su questa materia.
Vi si auspicava l’intervento del legislatore italiano ispirato a obbligare il medico a prendere in esame le dichiarazioni del paziente e a motivare ogni diversa decisione in cartella clinica. Sarebbe da prevedersi la indicazione, in questo vero e proprio testamento biologico, di uno o più fiduciari, da coinvolgere obbligatoriamente da parte dei medici nelle decisioni da assumere nei riguardi di pazienti divenuti incapaci di intendere e volere. Una legittimità bioetica potrebbe confortare la disciplina legislativa, se questa regolasse le condizioni di libera volontà, informazione, autonomia del disponente, senza pressioni familiari, sociali, ambientali, nonché l’assenza di finalità eutanasiche, che sarebbero in contrasto con il nostro diritto positivo, con le regole di pratica e di deontologia medica. E, andrebbe aggiunto, con il principio costituzionale del diritto fondamentale alla vita, che non può essere contraddetto da un gemello diritto a morire, come accade in alcuni ordinamenti, che hanno evidentemente altra storia culturale e morale.
Quanto alla redazione di un così rilevante atto privato, sarebbe opportuno ch’esso fosse compilato con l’assistenza di un medico, che può controfirmarlo, e tale da garantire la massima personalizzazione della volontà del futuro paziente, escluse pertanto le sottoscrizioni a moduli preconfezionati. Sotto questi profili, il testamento biologico sarebbe strumento di libertà e di uguaglianza dei cittadini, riscattati da diversità di cultura e di condizioni sociali, dinanzi a quella soglia in cui medico e paziente aiutano la vita o accettano la sua non resistibile conclusione. Ma perché il legislatore non consumi inutilmente un’altra e nuova occasione di stabilire regole, che non facciano violenza a coscienza alcuna, laica o religiosa, occorre non scendere in campo con opposti principi, che fanno torto, agli uni e agli altri, in termini di umana pietà e di retta ragione.