“I baroni rubano il posto a noi ricercatori” in ateneo scoppia la battaglia delle generazioni

La Repubblica
Luca De Vito

MILANO — I professori universitari chiedono di poter continuare a lavorare anche oltre l’età della pensione. E scoppia di nuovo la guerra dell’età. Negli atenei di tutta Italia le richieste arrivano a decine: da Milano a Palermo, tra gli ordinari nati nel 1943 è partita la corsa per usufruire del bonus di due anni di lavoro in più. Cosa che, chiaramente, farà slittare in avanti gli ingressi dei giovani ricercatori in attesa di un contratto. A stabilirlo è stata una sentenza della Consulta che ha dichiarato incostituzionale un articolo della Legge Gelmini e che ha ristabilito la possibilità di rimanere in servizio per due anni oltre la soglia dei 70. Adesso, chi è vicino all’età della pensione può compilare una richiesta motivata e presentarla in ateneo: sarà il senato accademico, in ultima istanza, a decidere se il docente potrà rimanere in servizio o meno. Nella maggior parte delle università, l’orientamento è quello di respingere al mittente le richieste. Al Politecnico di Torino i vertici accademici stanno prendendo posizione per non consentire la proroga, mentre all’Alma Mater di Bologna è esplosa una polemica tra giovani ricercatori e prof, con il rettore Ivano Dionigi che ha invitato il corpo docente ad avere una maggiore «attenzione alle attese delle nuove generazioni». E se all’università di Palermo le domande — arrivate principalmente da Giurisprudenza e Lettere — verranno con buona probabilità cassate, alla Bicocca di Milano lo stop sarà automatico per motivi di organico: «Queste trattenute in servizio — ha spiegato il rettore Marcello Fontanesi — prevedono l’impegno di un punto in organico: ovvero, vengono parificate a nuove assunzioni. E noi non abbiamo la possibilità di farlo».

C’è poi chi ha deciso di non bloccare del tutto questa possibilità inserendo dei criteri stringenti. Al Politecnico di Milano potrà proseguire chi ha avuto un riconoscimento come il premio Nobel, chi ha una capacità di portare finanziamenti e chi rimane come unico riferimento del proprio settore disciplinare. Paletti precisi verranno inseriti anche all’Università degli studi di Firenze. Uno dei rischi legati all’arrivo di questa valanga di richieste è quello di affievolire ulteriormente le speranze dei giovani in attesa di un posto: per loro già adesso vale la regola per cui solo uno diventa ordinario ogni cinque che escono. «Ci avevo provato — ha commentato Maria Stella Gelmini, ex ministro dell’ Istruzione che nella sua riforma aveva abolito la proroga — così si blocca il ricambio generazionale: adesso chi sta fuori rimane precario ancora un po’». Molti ricercatori sono già sul piede di guerra.

«I giovani hanno pagato per 15 anni, ora basta», ha detto Loris Giorgini rappresentante nel Cda di Bologna. «Con l’università governata tutta da ordinari e un sistema di valutazione che fa acqua da tutte le parti— ha aggiunto Piero Graglia ricercatore della Rete 29 Aprile—il rischio è che si perpetui una categoria che non splende per correttezza». Dal canto loro però, i rappresentanti della vecchia guardia non si fanno troppi problemi. Giancarlo Roviaro, ordinario di Chirurgia alla Statale di Milano, ha già fatto richiesta: «Tirarmi indietro mi sembrava scorretto — ha spiegato — come se volessi negare la mia professione portata avanti in questi anni. L’ho fatto per spirito di appartenenza istituzionale, ma se rifiutano la mia domanda non farò ricorso». Conciliare la perdita dell’esperienza con la necessità di un ricambio generazionale non è cosa semplice, soprattutto in un periodo di ristrettezze economiche. «Accettare le proroghe comporta un impegno economico troppo gravoso—ha spiegato Luca Vago rettore della Statale di Milano, università in cui nei prossimi due anni saranno 62 i prof 70enni—. Ma questo non vuol dire rinunciare per forza alle elevate competenze di alcuni colleghi vicini alla pensione».