Per i bandi una rivoluzione con pochi fondi

Il Sole 2 Ore
Dario Braga

A fine 2012 il ministro Profumo ha varato i bandi di finanziamento alla ricerca Prin (Progetti di ricerca di interesse nazionale) e Fir (Futuro in ricerca) per le università. A confronto con quelli precedenti, i nuovi bandi hanno introdotto alcuni cambiamenti molto radicali. Intanto i nuovi bandi, seppur distinti, sono tra loro collegati in modo molto netto e “sequenziale”. Si accede secondo “linee” che partono dall’impiego temporaneo (postdoc, assegno di ricerca, ricercatore a tempo determinato) e arrivano alle posizioni permanenti (ricercatore, associato, ordinario) in funzione non tanto della posizione accademica quanto del tempo trascorso dal conseguimento del dottorato di ricercao della specializzazione. Quindi, sebbene il Firsiariservato al personale con meno di quarant’anni (e quindi largamente “precario”) esso costituisce di fatto il primo gradino del Prin secondo uno sviluppo verticale di “seniority” nella ricerca. Questa è una prima rivoluzione. Lo schema è molto simile a quello dello European Research Council che prevede, appunto, tre livelli: starting, consolidator, advanced. Inoltre, la riserva di quote di fmanziamento alle linee giovani dovrebbe evitare l’effetto «pesce grosso mangia pesce piccolo». La seconda rivoluzione è la «scomparsa delle 14 aree Cun» disciplinari (matematica, chimica, fisica, medicina, architettura, giurisprudenza eccetera) ormai manifestamente inadeguate a rappresentare la trasversalità della ricerca, sostituite dai macrosettori dello European Research Council: SH (Socialsciences and humanities),PE (mathematicsphysical sciences, information and communication, engineering, universe and earth sciences) e LS (life sciences). L’adozione dei macrosettori scombina tutti i tradizionali criteri di peso delle diverse aree e porta direttamente in competizione progetti di ricerca di aree molto diverse. L’opera di valutazione, tutta mediante peerreview” anonima, non sarà facile maanche in questo ora che il Paese si adegui ai metodi usati internazionalmente. Anche i fmanziamenti saranno allocati per macrosettori: 40% al LS, 40% al PE e 20% al SH. E qui registro una forte criticità: questo riparto sfavorisce l’area delle scienze umane, sociali e giuridiche. Sarà pur vero che «costano meno» ma è anche vero che il fmanziamento nazionale è una delle fonti principali di sostegno in queste aree di ricerca di base mentre per IS e PE l’accesso ad altri fmanziamenti sia pubblici sia privati è più semplice. Il sistema di produzione dei progetti è stato anch’esso “europeizzato”: non più megaprogetti di decine e decine di pagine, ma una presentazione iniziale di poche pagine (“short proposal”). Solo i progetti che avranno superato la presele-zioneverranno poi sviluppati in fullprojects” per il successivo esame. Questa modalità riduce moltissimo l’impatto iniziale della partecipazione ai bandi sia per gli estensori dei progetti sia per i valutatori accelerando la fase di preselezione. II meccanismo di preselezione, adesso in svolgimento, è omogeneo almeno nei criteri base: tutti gli atenei dovranno accederanno alla stessa banca dati di valutatori e con lo stesso meccanismo. Serviràa impedire che si ripeta la “non comparabilità” delle scelte dei diversi atenei nella fase di selezione nazionale. C’è tuttavia un’altra criticità non marginale da segnalare. Il successo della valutazione sia degli “short pro-posar sia dei’ full projects” dipenderà in larga misura da numerosità, aggiornamento e “standing” deivalutatori del database al quale gli atenei e il Comitato nazionale di garanzia della ricerca (Cngr) dovranno accedere sia perla preselezione sia perla selezione finale. L’operazione è comunque complessa e ha un impatto notevole sulle tecnostrutture amministrative anche sui ricercatori. In migliaia verranno mobilitati per mesi. Tuttavia, era necessario cambiare: l’esperienza del Firb/Prin del 2012 aveva portato a risultati contradditori e a palesi falle nella selezione, che, soprattutto negli stadi fmali, si è svolta spesso in “im-pari condicio”. Il cambiamento è andato quindi nella direzione giusta, mostra un disegno complessivo, fortemente europeista, fortemente innovatore. Rimane il problema dei problemi: il fmanziamento per il 2013 di circa 68 milioni è quasi un quarto di quanto assegnato nel corso del 2012. Una “rivoluzione culturale” sottofmanziata rischia di mancare gli obiettivi. I denari sono pochi, è cosa nota. Ma proprio perché sono pochi vanno spesi dove possono produrre di più e per tutti. C’è da augurarsi che le forze politiche che prenderanno in mano le redini del Paese comprendano che l’investimento nella ricerca è una scelta di campo mondiale: osi sta tra chi produce sapere e innovazione o tra chi li compra.