HIV, fare il test conviene a tutti.

Vero Salute
Elisa Baldaccini

Nessuno parla più dell’Hiv. Non so se ci avete fatto caso, ma se ci riflettete un attimo, converrete senz’altro con questa affermazione, che arriva dal mondo scientifico. Eppure la battaglia contro questa malattia è tutt’altro che vinta. Ma allora perché questo silenzio da parte della stampa e dei media, in generale? «Penso che la ragione principale sia dovuta al fatto che oggi, per fortuna, abbiamo delle terapie che hanno trasformato la patologia da mortale a controllabile», commenta Simone Marcotullio, vice presidente della Fondazione Nadir Onlus. quttavia, i dati parlano chiaro: oggi sono circal60mila le persone con Hiv stimate in Italia, di cui attorno alle 60mila in terapia antiretrovirale». Numeri decisamente importanti, ai quali va aggiunto un sommerso che, per un certo verso, è ancora più preoccupante… «È così», risponde Marcotullio. «Se conveniamo che circa 1’86 per cento delle persone con Hiv che sanno di esserlo è in terapia, capiamo bene che il numero degli inconsapevoli si potrebbe aggirare, probabilmente, intorno ai 90mila. E se pensiamo che i primi a trasmettere la malattia sono proprio “gli ignari”, allora afferriamo bene la gravità della cosa». Ieri come oggi, quindi, l’arma principale per far fronte all’Hiv rimane una sola: fare il test, come conferma anche il dottor Andrea Antinori, direttore del Dipartimento Clinico presso l’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani di Roma: «Uno degli obiettivi fondamentali della strategia globale del controllo dell’Hiv, è avere una diagnosi precoce. Oggi il 50 per cento delle diagnosi sono tardive (in una fase di malattia più avanzata). Bisogna quindi invertire questa tendenza che, ancora oggi, affligge la realtà europea». Ma quali sono i vantaggi di una diagnosi precoce, oltre a quello di “portare alla luce” il sommerso? «Diagnosticare il sommerso ci aiuta a prevenire meglio la trasmissione del virus, perché se la popolazione fosse consapevole di aver contratto la malattia, si potrebbero attuare più facilmente le misure di prevenzione», risponde il dottor Antinori. «Il secondo obiettivo di un test più efficace è il fatto di instaurare una terapia più precoce. Migliora in questo modo il recupero immunologico e si fa durare di più il successo terapeutico. Sapere è importante Voglio ricordare, a questo proposito, che la malattia si cronicizza se gestita e trattata nel modo corretto. Tra gli altri vantaggi, quello di minimizzare gli effetti collaterali. Infine c’è anche un altro fattore da considerare: diagnosticare precocemente la malattia, fa risparmiare molti soldi alle casse dello Stato». Quale la principale differenza  rispetto agli Anni ’90, quando l’Aids diventa un’epidemia senza confini? «Oggi, rispetto a 20 anni fa, la popolazione da Hiv è più anziana. Nello stesso tempo c’è da dire che l’aspettativa di vita si è allungata e, conseguentemente, si invecchia con la malattia. Un altro aspetto da considerare a questo proposito, è il problema dell’immunosenescenza. Significa che il paziente con Hiv tende a invecchiare più precocemente, rispetto a un sieronegativo (c’è chi dice 10 anni, chi 15). E l’invecchiamento porta con sé una serie di patologie concomitanti, che si possono andare a sommare ai problemi della malattia da Hiv». Riassumendo questo concetto possiamo dire che l’Hiv può diventare oggi una malattia cronica (se diagnosticata e trattata in tempo), al pari, per esempio, del diabete. Ecco un altro importante motivo per sottoporsi al test: per migliorare la nostra qualità di vita fuori e dentro, nel senso che, prima interveniamo con la giusta terapia, prima possiamo far fronte all’invecchiamento e alle sue complicanze, che nei soggetti sieropositivi tende ad andare più veloce di quello biologico. Non solo.  «Oggi abbiamo la possibilità che la persona con Hiv riesca a essere inserita in un contesto di vita normale, grazie al fatto che le terapie da assumere sono poco ingerenti nella qualità di vita», aggiunge Marcotullio. «Tuttavia, fare diagnosi (www.testhiv.it) e intervenire tempestivamente con la terapia sono requisiti essenziali per la salute dell’individuo e per la prevenzione della trasmissione dell’infezione». A questo punto, però, uno dei problemi principali rimane lo stigma sociale. «Per sconfiggerlo», conclude il vice presidente della Fondazione Nadir Onlus, «sono necessarie politiche serie e capillari da parte dello Stato affinché, implementando una strategia complessiva di “prevenzione combinata”, ossia che coinvolga più strumenti a disposizione, si portino le nuove infezioni a zero».