Fine vita, intervista Mario Riccio: «Alimentazione e farmaci sospesi: ora la legge»

Mario Riccio

 

«Il giovane e sfortunato Giovanni Custodero ha deciso di non soffrire più, dopo aver combattuto per anni la sua malattia con sprezzante coraggio tanto da meritarsi il titolo di guerriero sorridente.Ma, con una legge sul suicidio assistito o l’eutanasia, sarebbe morto in pochi minuti invece che a distanza di tre giorni». Lo afferma Mario Riccio, l’anestesista che si è assunto la responsabilità di distaccare Piergiorgio Welby dal respiratore artificiale che lo teneva in vita, nell’autunno 2006, così come il malato di distrofia muscolare progressiva aveva chiesto con un appello al presidente della Repubblica. Oggi il medico dirige la terapia intensiva dell’ospedale Oglio Po, in provincia di Cremona, fa parte del consiglio nazionale dell’Associazione Luca Coscioni e continua a occuparsi del fine vita.

Dottor Riccio, in che cosa consiste il processo di accompagnamento alla morte ottenuto da Giovanni Custodero, il calciatore ventenne affetto da un sarcoma osseo?

«Una volta addormentato, al ragazzo sono state sospese le terapie farmacologiche e la nutrizione artificiale: così è morto dopo tre giorni. Tutto legale, in questo caso.»

La legge 219 del 2017 ha riconosciuto questa pratica, che è accettata anche dai medici. Le richieste sono numerose?

«Senza dubbio, anche se è difficile fare una stima perché vengono formulate soprattutto negli hospice e da malati terminali accuditi a casa Uno di loro è un mio assistito: nei giorni scorsi ha espresso la stessa volontà di Custodero».

Qual è la differenza con il caso Welby? 

«L’attivista dell’Associazione Coscioni morì dopo 40 minuti anziché dopo tre giorni, perché dipendeva dal ventilatore. Allora la vicenda scatenò polemiche: chiesero la mia condanna a 15 anni e la radiazione dall’albo dei medici, tutte pratiche archiviate. Ma, in fondo, Welby voleva la stessa cosa di Custodero: smettere di soffrire».

In che consiste l’eutanasia?

«La procedura, che è vietata, prevede la somministrazione di un farmaco per arrivare alla morte».

L’iniezione letale è illegale anche in Svizzera, dove si pratica invece il suicidio assistito.

«In questo caso al malato terminale vengono forniti gli strumenti per morire, ma tocca a lui compiere il gesto, bevendo il mix di barbiturici. Ma anche se Custodero avesse voluto oggi in Italia non avrebbe potuto accedere a una morte medicalmente assistita: la sua condizione non sarebbe rientrata nemmeno tra quelle comprese nella recente sentenza della Corte costituzionale, poiché lui non era dipendente da trattamenti di sostegno vitale. Dal punto di vista tecnico e giuridico, la differenza è evidente: non lo è, invece, da un punto di vista etico deontologico, a mio avviso».

Cioè?

«Cambiano le modalità di accompagnamento alla morte, non l’obiettivo: gli operatori che hanno seguito Custodero nel percorso di sedazione palliativa ben sapevano che sarebbe morto, come aveva richiesto, ma solo in un tempo più lungo. C’è però un pregiudizio che spinge a non accettare questo ragionamento sul fine vita e a non depenalizzare il suicidio assistito con una legge».

Lei è stato sentito in audizione dalla commissione parlamentare Affari sociali.

«Sei o sette volte, dal 2006, e sono stato onorato di presentarmi e rispondere alle domande. Ma il dibattito sulla legge è fermo».  L’anestesista di Cremona Mario Riccio distaccò Welby dal ventilatore artificiale