Fecondazione assistita, la Consulta: non è reato selezionare embrioni sani

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Laura Cuppini

Nuovo colpo alla legge 40/2004 sulla fecondazione assistita. Con una sentenza della Corte Costituzionale cade il divieto di selezione degli embrioni senza eccezione: i giudici hanno stabilito che non è reato la scelta nei casi in cui sia finalizzata ad evitare l’impianto di embrioni affetti da gravi malattie trasmissibili, ovvero quelle previste dalla legge 194 sull’aborto. La sentenza, 229/2015, è stata redatta dal giudice Rosario Morelli. 

La questione sollevata dal Tribunale di Napoli

La questione di costituzionalità era stata sollevata dal Tribunale di Napoli nell’ambito di un procedimento penale contro un gruppo di medici rinviati a giudizio con l’accusa di produrre embrioni umani con fini diversi da quelli previsti dalla legge 40, effettuando una selezione eugenetica e la soppressione di embrioni affetti da patologie. I giudici della Consulta hanno dunque dichiarato illegittimo l’articolo della legge in cui si contempla «come ipotesi di reato» la selezione degli embrioni anche nei casi in cui questa sia «esclusivamente finalizzata ad evitare l’impianto nell’utero della donna di embrioni affetti da malattie genetiche trasmissibili rispondenti ai criteri di gravità» stabiliti con la legge sull’aborto e «accertate da apposite strutture pubbliche». L’articolo 13 (commi 3, lettera b, e 4) della legge 40 prevede di sanzionare penalmente anche la condotta dell’operatore medico volta a consentire il trasferimento nell’utero della donna dei soli embrioni sani o portatori sani di malattie genetiche: tale articolo, secondo i giudici della Consulta, violerebbe gli articoli 3 (uguaglianza) e 32 della Costituzione (diritto alla salute), per contraddizione rispetto alla finalità di tutela della salute dell’embrione di cui all’articolo 1 della medesima legge 40. E contrasterebbe anche con il diritto al rispetto della vita privata e familiare, che include il desiderio della coppia di generare un figlio non affetto da malattia genetica. 

«Diagnosi preimpianto pienamente legittima»

«Si tratta di una sentenza importante perché toglie finalmente ogni ombra dalla possibilità di effettuare la diagnosi preimpianto – spiega Filomena Gallo, avvocato e segretario nazionale dell’Associazione Luca Coscioni -. Qui non si tratta di eugenetica, ma di tutela della salute della donna e dell’embrione stesso: cadendo il reato di selezione, la diagnosi preimpianto è adesso pienamente legittima. In questo modo si evita che una donna possa vedersi impiantato un embrione malato con la prospettiva eventuale di un aborto. Ad oggi – prosegue Filomena Gallo – la diagnosi preimpianto per le coppie fertili ma con patologie genetiche viene fatta solo in tre ospedali pubblici italiani, mentre viene garantita in tutte le strutture private. Per ricevere un servizio garantito da una precedente sentenza della Corte Costituzionale, le coppie dovevano rivolgersi ai tribunali, che con innumerevoli ordinanze hanno costretto gli ospedali pubblici a fornire il servizio o a richiederlo a una struttura convenzionata». Il nuovo pronunciamento della Corte Costituzionale, ricorda Filomena Gallo, fa salire a quattro le sentenze che negli anni hanno cancellato dei punti nodali della legge 40, «ma la politica cerca di disconoscere queste sentenze creando ostacoli burocratici – spiega -. Per esempio il ministro della Salute Lorenzin ha emanato le linee guida sulla fecondazione assistita, ma senza fare alcun riferimento alla diagnosi preimpianto per le coppie fertili e all’eterologa, per la quale siamo ancora in attesa di un decreto attuativo. Da oggi comunque non ci sono più scusanti: ogni ospedale, pubblico o provato, deve garantire la diagnosi preimpianto anche alle coppie fertili portatrici di patologie genetiche». 

La sentenza sulle coppie con malattie genetiche

A maggio, la Corte Costituzionale aveva stabilito l’illegittimità della legge 40 nella parte in cui vietava l’accesso alla fecondazione assistita e alla diagnosi pre-impianto alle coppie fertili affette da gravi malattie genetiche, sempre con riferimento alle condizioni che consentono l’aborto terapeutico. E nella nuova sentenza si fa esplicito richiamo alla precedente, dato che, si legge , «quanto è divenuto lecito non può – per il principio di non contraddizione – essere più attratto nella sfera del penalmente rilevante». Nella sentenza di maggio si faceva infatti riferimento «al fine esclusivo della previa individuazione di embrioni cui non risulti trasmessa la malattia del genitore comportante il pericolo di rilevanti anomalie o malformazioni (se non la morte precoce) del nascituro». È quindi, spiegano i giudici, «in questi esatti termini e limiti» che va letta la nuova pronuncia di illegittimità. 

Resta il divieto della soppressione di embrioni

Nel dichiarare che non è reato la selezione degli embrioni finalizzata ad evitare l’impianto di quelli affetti da malattie gravi genetiche trasmissibili, la Corte Costituzionale ha giudicato poi «non fondata» la questione relativa alla soppressione degli embrioni sollevata dal Tribunale di Napoli. La legge 40 vieta e sanziona penalmente tale condotta, anche se riferita agli embrioni che, a seguito di diagnosi preimpianto, risultino affetti da grave malattia genetica («è vietata la crioconservazione e la soppressione di embrioni» e «la violazione è punita con la reclusione fino a tre anni e con la multa da 50.000 a 150.000 euro»). Resta dunque vietata la soppressione degli embrioni frutto di fecondazione assistita. Secondo la Corte Costituzionale, «la malformazione dell’embrione non ne giustifica, solo per questo, un trattamento deteriore rispetto a quello degli embrioni sani».

 

«Non è mero materiale biologico»

Per questi non si prospetta, «allo stato, altra risposta che la procedura di crioconservazione. L’embrione, infatti, quale che sia il più o meno ampio riconoscibile grado di soggettività correlato alla genesi della vita, non è certamente riducibile a mero materiale biologico», dicono i giudici. La Consulta ricorda poi che, con una precedente sentenza del 2009, aveva «già riconosciuto il fondamento costituzionale della tutela dell’embrione e l’ha bensì ritenuta suscettibile di “affievolimento”, ma solo in caso di conflitto con altri interessi di pari rilievo costituzionale (come il diritto alla salute della donna) che risultino prevalenti. Nella fattispecie, la soppressione dell’embrione malato non troverebbe dunque giustificazione con la tutela di altro interesse.