Embrioni malati per la ricerca, la Consulta deciderà se il divieto è legittimo

ricerca 2.jpg
corriere.it

Gli embrioni «orfani» possono essere utilizzati per la ricerca sulle cellule staminali? A questa domanda dovrà rispondere la Corte Costituzionale che si è riunita martedì mattina in udienza pubblica per esaminare la questione di legittimità posta dal Tribunale di Firenze. C’è grande attesa per una decisione che potrebbe rimettere in discussione alcune parti centrali della legge numero 40 sulla procreazione medicalmente assistita (Pma) dove compare il divieto di ogni manipolazione sui frutti del concepimento anche se per fini scientifici. I giudici coordinati dal presidente Paolo Grossi hanno rigettato l’istanza degli avvocati Filomena Gallo e Gianni Baldini e dell’associazione Vox affinché fosse ascoltato il parere degli esperti. Presente in aula la senatrice Elena Cattaneo, direttore del centro di ricerca sulle staminali dell’università di Milano e Micele De Luca, capo del centro di medicina rigenerativa, università Modena e Reggio Emilia. 

«Irragionevole»

L’avvocatura dello Stato rappresentata in udienza Gabriella Palmieri in una memoria ha chiesto alla Corte di dichiarare inammissibile o comunque infondata la richiesta di illegittimità sollevata dal Tribunale di Firenze con una sentenza del dicembre 2012. I giudici toscani avevano definito «illogico e irragionevole» il contenuto di due articoli della legge sulla procreazione medicalmente assistita che non consente a una coppia di donare per fini scientifici gli embrioni cosiddetti residuali, portatori di anomalie e non utilizzati per tentare una fecondazione artificiale. I due genitori intendevano revocare il consenso all’impianto dell’ovocita fecondato che avevano dato prima di cominciare il trattamento. Secondo il tribunale fiorentino le norme contestate della legge contrastano con alcune parti della nostra Costituzione tra le quali la promozione della ricerca, la tutela della salute e la cura della famiglia.  

Censimento

Al centro dell’attenzione gli embrioni esclusi da un percorso procreativo su decisione degli stessi medici a causa dell’esistenza di anomalie che avrebbero compromesso l’avvio di una gravidanza. Secondo un censimento dell’Istituto Superiore di Sanità, sede dal registro di Pma, sono 3862 gli embrioni censiti e «localizzati» presso i cent i cui legittimi proprietari hanno espresso per iscritto di non volere più utilizzarli in «un processo parentale» e che dunque potrebbero essere materia di ricerca. Altri 6279 sono in stato di abbandono cioè non è stato possibile rintracciare le coppie cui appartengono e continuano ad essere conservati nelle speciali taniche per il congelamento in una condizione di stand by, in attesa di ulteriori accertamenti. I numeri sono stati resi noti pubblicamente da Giulia Scaravelli, responsabile del registro, in un convegno organizzato lo scorso febbraio dall’Associazione Luca Coscioni che si batte per la libertà della ricerca. 

Petizione

L’associazione coordinata dall’avvocato Filomena Gallo ha promosso una petizione al Governo sulla libertà di ricerca sulle staminali embrionali. Il documento è stato firmato da 600 scienziati di 22 Paesi. Nei laboratori italiani il divieto viene aggirato acquistando linee di cellule staminali all’estero ma altra cosa è poter sperimentare su cellule di prima mano. La legge sulla Pma , approvata nel 1994, è stata modificata nel corso degli anni a forza di sentenze di tribunali e Consulta. Finora sono state 37 le decisioni che hanno via via impresso un nuovo corso a norme nata come le più rigide in Europa. 

Quattro sentenze

Quattro i pronunciamenti della Corte Costituzionale. Nel 2009 è caduto il limite di produzione di embrioni (un massimo di tre) e l’obbligo di trasferirli in utero tutti insieme. Nel 2014, sì alla fecondazione eterologa (con gameti diversi da quelli della coppia). Poi lo scorso anno, via libera alle tecniche di procreazione assistita a coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili ai nati. Infine la sentenza che sottrae all’elenco dei reati la selezione di embrioni da trasferire in utero anche se finalizzata ad evitare l’impianto di quelli con malattie genetiche indicate dalla legge sull’aborto e accertate da strutture pubbliche.