Eluana, crociata dei vescovi contro la sentenza dello Stato

vescoviLa campagna della Chiesa, il silenzio dei cattolici democratici: meglio delle spaccature interne
Udine, si fa avanti un’altra clinica è «La Quiete». Ma Sacconi ribadisce il diktat: pronto a sanzioni

ROMA – Riappare come probabile l’approdo di Eluana Englaro in Friuli, terra d’origine del padre: la clinica di Udine "La Quiete", non convenzionata con la Regione, di proprietà comunale e con un consiglio di amministrazione in maggioranza favorevole, potrebbe accogliere la ragazza in coma da 17 anni nei prossimi giorni.

Dopo la decisione del Tar della Lombardia sul veto imposto da Formigoni a tutte le strutture sul suo territorio.

La politica e la chiesa Contro l’esecuzione della sentenza definitiva che autorizza lo stop alle cure, tuttavia, si muove l’offensiva a tenaglia di due soggetti egualmente motivati quanto potenti. Da un lato, il ministro del Welfare Sacconi che ieri ha avvertito: «Tutti i soggetti pubblici e privati sono tenuti a rispettare i principi del sistema sanitario nazionale a pena di sanzioni». Sull’altro versante si muove la Chiesa con un interventismo puntuale, mirato sulle singole regioni in cui si aprano finestre, efficacissimo sulla politica locale. Udine, Bologna, Rimini, Torino: cardinali che, neanche fossero consiglieri dell’opposizione, esprimono ad alta voce e a mezzo stampa il diniego preventivo. Nel silenzio ormai solido dei partiti di centrosinistra che alle lacerazioni interne preferiscono l’afonia. Salvo eccezioni tacciono i cattolici democratici. Su questo giornale Stefano Rodotà ha denunciato «il silenzio negativo dell’opposizione» che ha fatto mancare il «clima giusto alla battaglia di civiltà» di Beppino Englaro. E domenica, nella piazza di Lecco sferzata dal nevischio, il Radicale Marco Cappato ha salutato i partecipanti alla fiaccolata: «Siamo qualche centinaio, un buon risultato. Se la manifestazione l’avessero organizzata i grandi partiti sarebbe oceanica, purtroppo non è così…».

L’offensiva Nel deserto di chi la pensa altrimenti, la campagna "per la vita" della Chiesa affonda come una lama nel burro. Passa dall’epoca Ruini che disse no ai funerali religiosi di Welby a quella Bagnasco che nega un accanimento terapeutico. Previe solidarietà e preghiere per la sofferenza dei familiari, ma senza sconti. Durante la tormentata «riflessione» della "Città di Udine", il dissenso dell’arcivescovo Pietro Brollo è stato costante. Con l’anno nuovo, la disponibilità di Bologna si era appena affacciata sull’intricato scenario della vicenda Englaro, quando l’arcivescovo della città, cardinale Carlo Caffarra, ha fatto sapere urbi et orbi la sua contrarietà: «Sarebbe un atto gravissimo in primo luogo contro Dio, autore e signore della vita. Un atto non per la vita ma per la soppressione della vita». Poi un avviso più concreto al governatore Errani, che pure si era limitato a dire che Stato e Regioni non possono intervenire sulla libera scelta di chiunque: «Da cittadino rilevo che anche l’Emilia deve obbedire alla Carta che non prevede l’eutanasia». Era il 19 gennaio. Poco dopo: l’ufficializzazione del no da parte del PdL emiliano, la spaccatura del consiglio comunale bolognese con la scelta del Pd di rinviare ogni decisione. Due giorni dopo sulla ventilata disponibilità della AsI di Rimini si esprime il vescovo monsignor Lambiasi dichiarandosi in sintonia con Caffarra: «Affrettare la morte non è segno di pietà». E nonostante il prelato abbia precisato di non sapere se l’ipotesi «abbia fondamento», la via romagnola non decolla. Ieri, di fronte alla prima inequivoca presa di posizione di un presidente di Regione (Tondo era stato coraggioso, ma a titolo personale), la piemontese Mercedes Bresso, l’intervento del cardinale di Torino Severino Poletto: «Se la legge dell’uomo entra in contrasto con quella di Dio – ha detto a Repubblica – deve prevalere la seconda. Togliere cibo e acqua sarebbe eutanasia: i medici facciano obiezione di coscienza».

Nessuno fuori dal coro Nessun distinguo trova spazio. La lettera di Natale dei dieci preti di frontiera friulani, tra cui Don Di Piazza e Don Vatta, che difendevano le ragioni dei genitori di Eluana è stata derubricata a «posizioni personali» con la raccomandazione a non reiterarle. Stessa accoglienza per i quattro confratelli toscani. Un appello firmato, tra gli altri, da Don Bizzotto, Don Gallo e Don Mazzi, esprime «sconcerto e amarezza per la posizione dei vertici ecclesiastici, la pietà ci sembra dimenticata».