Due donne: una ha una grave patologia genetica, l’altra è l’avvocato che l’ha sostenuta nella battaglia in Tribunale. Insieme hanno dato una spallata alla Legge 40. Qui raccontano la storia dei bambini nati senza l’incubo della malattia.
AIla fine ce l’hanno fatta e sono venuti al mondo, già “fuorilegge”: sono i primi bambini nati grazie alla diagnosi preimpianto (inizialmente vietata dalle linee guida della legge 40, ma ammessa dai Tribunali) effettuata in un ospedale pubblico su ordine del Tribunale. Un’indagine diagnostica che le scelte politiche rendono di difficile applicazione, spingendo chi ne ha bisogno verso il privato o all’estero.
I piccoli sono tre, due di loro, i gemelli Nicolò e Francesco hanno quasi 3 mesi e sono figli di Claudia Frau che ha accettato di raccontare la sua storia. Insieme all’avvocato Filomena Gallo, Segretario dell’Associazione Luca Coscioni, che l’ha sostenuta nella battaglia legale, ha dato una spallata alla legge 40, il più controverso dei regolamenti, sopravvissuta (a brandelli) a 38 processi che pezzo per pezzo l’hanno modificata.
Nata per regolare la procreazione assistita, calpestando parecchi diritti civili, è scampata a un referendum (nel 2005) per approdare periodicamente nei Tribunali, ultimo in ordine di tempo, quello di Milano, contro la clinica Mangiagalli lo scorso fine aprile: i giudici impongono il test preimpianto, ma una settimana dopo, il 3 maggio, il ministero della Salute presenta un reclamo contro l’ordinanza. Dunque si va avanti a ricorsi. E uno dei colpi più duri è stato quello di Claudia e Filomena, moderne Antigoni, umano contro lo Stato nel Paese dove la vita reale esce dal Parlamento e finisce in Tribunale.
Claudia vive a Bologna ma ha origini sarde. Come suo marito “Mauri”, ingegnere impiegato a Modena. I loro figli rischiavano di nascere ammalati, perché Claudia ha la talassemia, malattia endemica in Sardegna, “vinta» alla lotteria genetica dai genitori portatori al 25%:
«Io sono nata malata, mio fratello no, è microcitemico, cioè portatore sano».
Cosa vuol dire essere piccoli malati, Claudia ce l’ha marchiato a fuoco nella memoria e nel corpo: «Trasfusioni continue, perché i globuli si spaccano e ogni due settimane vanno reintegrati: per fortuna c’è qualcuno di buono che dona a noi un po’ del suo sangue». Ma il sovraccarico di ferro, che si rischia, è pericoloso, bisogna tenerlo sotto controllo con un farmaco. «All’epoca, quando ero bambina io, si iniettava per via sottocutanea con una speciale macchinetta, da tenere al braccio per 12 ore». Nelle notti di Claudia risuona quel ronzio, promemoria implacabile che il tuo corpo è difettoso.
Da ragazza, le fanno compagnia i ricoveri e l’ironia delle altre donne malate: «Io se trovo un microcitemicoche mi vuole sposare lo mando via a schiaffi, pure se è Brad Pitt» si dicono spavalde: un modo per esorcizzare la paura di mettere al mondo figli come te. Però poi, come si dice, il destino è destino, e incontra Maurizio, amore assoluto e una fatalità: è microcitemico.
Lui ti dice: io sposo te, non la tua malattia, e tu ti sciogli.
Ma a questo punto la possibilità di avere figli malati schizza al 50 per cento, un macigno sul futuro di una famiglia. Si rivolgono all’Ospedale di Cagliari che aveva i laboratori per la diagnosi preimpianto, ma non vi era più personale idoneo a causa della legge 40: anche chi un tempo aveva addirittura pubblicato studi sulle analisi effettuate in quella struttura si dichiarava non più adeguato sostenendo che fosse vietata dalla legge.
«Mi sentivo come se la malattia non si fosse stancata di punirmi, quanto ancora dovevo lottare?» dice Claudia. «Potevo solo scegliere tra rischiare un aborto o rischiare per i miei figli il calvario che conoscevo. Andare all’estero non potevo permettermelo e poi lo sentivo ingiusto».
Cosi Claudia contatta l’associazione Luca Coscioni, invia una lettera al segretario Filomena Gallo, avvocato che si occupa di biotecnologie in campo umano, e segue i procedimenti che riguardano le libertà: dei 38 che hanno modificato la legge 40, in 20 c’era presente lei, pro bono.
«Quando ci siamo sentite mi colpi per la voce dolce, pacata. Mi parlava del suo Mauri, del sogno di un figlio, la paura di trasmettergli la propria dolorosa malattia… Facciamo istanza al Tribunale di Cagliari contro l’Ospedale Microcitemico. È importante una decisione rapida, la situazione è delicata per una persona non in perfetta salute» dice l’avvocato.
Di quei giorni in aula, «non ricordo bene come mi sentivo, ma era come se la mia gravidanza avesse bisogno di un lasciapassare» dice Claudia. «Il giudice non lasciava trapelare nulla, poi c’era la controparte, la responsabile del laboratorio: li sentivo lontani, la mia era una questione di cuore, la loro di legge».
IL processo finisce in cronaca, sui giornali. «Ero spaesata e ferita dai commenti malevoli, le accuse di voler fare eugenetica. La mia motivazione era completamente diversa, una madre pub capire. E sentivo che era importante anche per altri». Dopo qualche mese, nel 2012, l’esito. «Il giudice afferma il diritto di effettuare l’esame che permette di sapere se gli embrioni sono malati, e impone all’azienda sanitaria locale di eseguire la diagnosi anche convenzionando una struttura esterna» spiega Gallo.
Questo è un punto importante a favore dell’equità dell’accesso alle cure, un precedente che vale anche per gli altri istituti: in Italia, su 43 centri di Procreazione medicalmente assistita che applicano la diagnosi preimpianto solo 4 sono pubblici. Come in altri casi in cui il Parlamento è fermo, la società civile si è mossa e i cittadini hanno cominciato a rivolgersi ai Tribunali per affermare i propri diritti.
«È come se il legislatore avesse paura di maneggiare le libertà. Anche la Corte Costituzionale è intervenuta, ben 4 volte. In 3 casi c’ero anche io» conclude Filomena Gallo, uno sguardo alla foto dei gemelli arrivata via Whatsapp. Francesco e Nicolò sono nati un po’ in anticipo, avevano fretta. «Li abbiamo aspettati per sette anni» sorride Claudia. «Sono figli di tante persone buone che hanno contribuito alla loro nascita». Ancora non sa se un giorno racconterà loro questa storia.
L’Associazione Luca Coscioni è una associazione no profit di promozione sociale. Tra le sue priorità vi sono l’affermazione delle libertà civili e i diritti umani, in particolare quello alla scienza, l’assistenza personale autogestita, l’abbattimento della barriere architettoniche, le scelte di fine vita, la legalizzazione dell’eutanasia, l’accesso ai cannabinoidi medici e il monitoraggio mondiale di leggi e politiche in materia di scienza e auto-determinazione.