Dj Fabo: il suo corpo sofferente è divenuto strumento di lotta

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Non lasciate soli noi Radicali in questa battaglia: solo grazie al nostro impegno il tema del fine vita è finalmente tornato al centro del dibattito. Abbiamo bisogno di voi.

Dj Fabo era uno che riempiva le piste e che con la sua musica riusciva a far ballare tutti. Oggi la sua storia riempie i giornali, i social, i notiziari e persino i talk show. Oltre che le discussioni private dei cittadini italiani.

La prima notizia , dunque, sembrerebbe essere proprio questa: il fatto di aver imposto al dibattito pubblico un tema spesso tacciato come superflua rivendicazione – per così dire – piccolo borghese o come ennesima provocazione radicale. E non è una notizia da poco, visto che dal settembre del 2013 – quando dopo mesi di mobilitazione nelle piazze di molte città italiane, come Associazione Luca Coscioni e Radicali italiani depositammo al Parlamento una proposta di legge di iniziativa popolare con le firme di 66mila cittadini – questo tema è rimasto inchiodato al disinteresse più totale.

Tanto che quella proposta di legge non ha trovato alcuna accoglienza da parte dei parlamentari a cui era rivolta, e non ha trovato spazio sui media, se non qualche trafiletto ogni tanto qua e là.

Quello dell’eutanasia è stato, infatti, uno degli argomenti più trascurati dall’informazione. Ancora una volta, è stato il corpo di un uomo, il suo dolore e le sue speranze, a forzare resistenze e indifferenze, ad aprire spazi che non sembravano disponibili.

E come spesso accade nelle battaglie radicali è stata necessaria una disobbedienza civile quella di Marco Cappato che si autodenuncia per l’aiuto prestato a Fabo – per mettere questo tema al centro del dibattito, assumendosi la responsabilità e il rischio di un processo il cui esito potrebbe portarlo ad una condanna molto grave.

Ma quelle della nonviolenza sono, per i radicali, “le armi delle situazioni impossibili”, come le definiva Mariateresa Di Lascia, storica dirigente. Ovvero gli strumenti da mettere in campo quando ogni altra via appare impraticabile, quando sembra non rimangano più speranze, e quando l’individuo non ha altro che il proprio corpo per resistere.

E allora che questo corpo ostaggio di un potere cinico si fa strumento di lotta. A lui è affidata una prova di responsabilità totale, che consiste nel darsi completamente senza cedere alcun frammento di sé, sapendo di avere davanti un fine non barattabile se non con il raggiungimento del fine stesso. E questo il senso profondo degli atti nonviolenti come lo sciopero della fame o come l’autodenuncia, e la sua irriducibile differenza, ad esempio, rispetto alle grandi manifestazioni di massa.

In altre parole, l’elemento politico della nonviolenza ha bisogno dell’individuo tutto intero che non può scindersi, che è, in una parola, responsabile.

Il corpo di Fabiano Antoniani, dunque, così come il corpo di Piergiorgio Welby. La passione per la musica dell’uno, così come quella per la poesia e la pittura dell’altro. La voglia di vivere di entrambi. «Caro Presidente io amo la vita, vita è la donna che ti ama», scriveva Welby al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

Valeria come Mina. Tutte e due hanno dovuto esporsi all’accusa di abbandono dei propri uomini («se fosse circondato d’amore non vorrebbe morire»). Tutte e due hanno dovuto mostrare l’intimità dei propri affetti, della camera da letto, delle lenzuola (il Corriere della Sera scriveva alcuni giorni fa: «Fabo con la testa su un cuscino a righe bianche e rosse»).

«Morire mi fa orrore – scriveva ancora Welby – purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita: è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche». Napolitano, commosso, rispose a quel messaggio poco dopo averlo ricevuto, richiamando il Parlamento alle proprie responsabilità.

Un analogo appello dj Fabo l’ha rivolto al presidente Sergio Mattarella: purtroppo è morto senza ricevere da questi e dal resto delle Istituzioni italiane alcun cenno. Una risposta robusta l’hanno data, invece, i cittadini che in questi giorni si sono emozionati, e commossi, hanno sentito quest’uomo sofferente e coraggioso, anche solo per un momento, vicino.

Si tratta ora di non far tornare il buio e l’indifferenza su questo tema insieme all’oblio su questa vicenda. A questi cittadini perciò ora chiediamo di non lasciarci soli come radicali a sostenere questa battaglia, e se necessario di tornare in piazza con noi a chiedere al Parlamento di fare la propria parte.