Davide e la pietas immatura (Promemoria per la sinistra)

di Luigi Manconi e Andrea Boraschi
David 1 Day Old by Edward (6)(Immagine fornita da Flickr)

Qualche settimana addietro, in questa rubrica, avevamo scritto che la medicina può prevaricare, per potenzialità scientifiche, prassi e forme burocratiche, la volontà delle persone: "in ogni caso, e soprattutto, forza Davide. E forza Massimo e Maria Rita." Davide era un bambino nato con la sindrome di Potter: ovvero con una patologia la cui variante con agenesia renale bilaterale (quella che interessava il piccolo) si è dimostrata sin qui, nei casi documentati scientificamente, regolarmente letale: ovvero, una malattia la cui prognosi, ancora per citare la letteratura medica, è "costantemente infausta".

Massimo e Maria Rita erano i suoi genitori: un padre e una madre amorevoli a cui è stato suggerito, in prima istanza, di accompagnare compassionevolmente il loro figlio a una morte rapida e indolore. Poi, imprevedibilmente, è stato chiesto loro di autorizzare la dialisi, dal momento che il neonato aveva cominciato a respirare in maniera autonoma. Ma senza che ai genitori fosse concesso tempo e modo per assumere una decisione tanto delicata e traumatica, il primario del reparto di terapia intensiva degli Ospedali Riuniti ottenne dal Tribunale per i Minori di Bari, la sospensione della potestà genitoriale, e venne nominato tutore del bambino: potè, così, autorizzare il trasferimento di Davide presso un ospedale attrezzato per la dialisi.

Lì il bambino sembra mostrare, per ottanta giorni, inediti segni di resistenza e contrasto al suo male, tra biberon e sondino gastrico, con sette ore di dialisi ogni giorno e crisi che lo costringo- no frequentemente alla respirazione assistita. Infine Davide, lontano dai clamori mediatici, è morto. Avevamo osservato quella vicenda con preoccupazione perché le speranze che la medicina lasciava a Davide erano nulle e perché colpiva il modo in cui era stata tolta, ai genitori, ogni facoltà di controllo sulla sorte del figlio.

Ora è opportuno tornare a occuparsene per evidenziare un elemento già accennato e che segnala qualcosa di "infantile", che ci coglie sempre davanti a vicende del genere; qualcosa di legittimo fin quando innocente, di naturale e di sano finché mitigato dalla ragione. Quel qualcosa potremmo chiamarlo "speranza", e certamente alcuni vorranno intenderlo e chiamarlo così. Ma non è esattamente ciò: è, piuttosto, una declinazione cieca di quel sentimento, un ottimismo della fantasia, più che della volontà, che confligge inesorabile con il realismo della ragione – se questo suggerisce il dolore e poi la morte – e a esso si oppone testardamente. E, così, i nostri auguri alla famiglia esprimevano il nostro incoraggiamento/desiderio affinché quel momento, durato troppo poco, in cui la tenacia di un neonato sembrava voler sovvertire l’ordine crudele e naturale della vita, quando essa appare, sopra ogni cosa, malattia e poi morte, non si esaurisse.

Insomma, la voglia di credere che qualcosa di profondamente buono potesse accadere. Sapevamo, tuttavia, che Davide non aveva speranze; pure ci è bastato qualche dato anomalo, rubato dalle cronache dei giornali, per voler credere che i segnali di resistenza che quella giovane vita opponeva al suo destino fossero il sintomo di una diagnosi errata. O che fossero l’eccezione a quella terribile regola che vuole la sindrome di Potter inesorabilmente mortale. Cosa c’era, allora, in quell’augurio, rivelatosi poi così vano? C`era una forma immatura di pietas, che vuole partecipare del "male" solo quando esso possa, ragionevolmente o miracolisticamente, trasformarsi in "bene".

Lo si ricava puntualmente dalla righe che seguono: sono le parole di Maria Rita Vigilante, la mamma di Davide, in una intervista pubblicata sulle pagine baresi di Repubblica: Davide è stato il primo bambino con la sindrome di Potter a superare i 39 giorni. Per lui si è parlato tanto di "miracolo" quanto di accanimento terapeutico. "Non credo ai miracoli. Se Dio ci fosse e avesse voluto fare un miracolo, non lo avrebbe fatto nascere così. Non sono documentati casi, fra i 400 bambini affetti dalla sindrome di Potter, curati con successo. Sottoporre un neonato a trattamenti invasivi, sapendo che non hanno mai avuto successo, fa pensare solo ad accanimento". Non aveva bisogno di tentare l’impossibile? "Abbiamo fatto ricerche febbrili, abbiamo ascoltato tanti pareri. Mio figlio è nato con una condanna: la prognosi per la sua malattia è "costantemente infausta". Ha subito interventi tremendi. Gli hanno applicato un catetere all’ombelico, poi uno alla giugulare che Davide ha estirpato da solo, poi all`inguine. Le cure dovevano aiutarlo a stare meno male, non aumentare il suo dolore".
Tornando indietro, lo avreste sottoposto alla dialisi? "La dialisi non andava mai iniziata: non ha senso dializzare bambini con la sindrome di Potter. Lo dicono tutti gli studi, mentre la stessa organizzazione mondiale della sanità dà indicazioni precise di non rianimare bambini con questa sindrome. La medicina è fondata Sull’esperienza ma nel caso di Davide non si è tenuto conto delle esperienze documentate. Una volta iniziata la dialisi, comunque, era impossibile sospenderla".
Ecco, questo è quanto si cela, talvolta, dietro le nostre aspettative cieche e le nostre speranze immature. E pensare a quanto è stato inferto a quel bambino e alla sua famiglia attraverso una prassi autoritaria – concorso feroce di medicina e giustizia – contro il volere dei genitori, misconoscendo il loro amore per Davide e il loro ruolo, impone di riflettere su molte questioni.
E pensare che qualcuno ha scritto di Massimo e Maria Rita come di persone ciniche, animate dalla volontà di sopprimere il loro figlio e incapaci di accettarlo perché "non perfetto", suggerisce che per alcuni la vita sia un feticcio da quattro soldi; il pudore una parola senza senso; la pietà un argomento polemico da brandire con tracotante cattiveria. Leggere, per credere, quanto documentato sul sito dell`Associazione Coscioni: http://wwwlucacoscioni.it/la_morte_del_piccolo_davide.

A futura memoria… Scrivere a: abuondiritto@abuondiritto. it