Dallo stress alla dieta. I geni influenzati dall’ambiente

Corriere della Sera
Piattelli Palmarini Massimo

Domani l’insigne genetista inglese David Charles Baulcombe riceverà in Quirinale, dal Presidente della Repubblica, il Premio Balzan per le scienze. Regius Professor di Botanica, professore di ricerca alla Royal Society e Direttore del Dipartimento di Scienze Botaniche all’Università di Cambridge, Baulcombe è internazionalmente noto come pioniere in un settore della biologia che è, da alcuni anni a questa parte, in enorme sviluppo: l’epigenetica. Letteralmente, dalle radici greche, la parola significa al di sopra della genetica, ma è forse più intuitivo dire che studia ciò che avviene «a valle» delle istruzioni contenute nei geni, cioè nel dna degli organismi viventi. In altre parole, l’epigenetica è il cuore delle ricerche sulle complesse e sottili interazioni tra i geni e l’ambiente in cui gli organismi si sviluppano. Lo studio di questi processi ha ricevuto considerevole impulso, soprattutto grazie a Baulcombe, proprio nella botanica. Gli chiedo di spiegarci come mai. «L’epigenetica è una sorta di ereditarietà lieve (usa la parola soft), perché studia le proprietà delle cellule che vengono modificate dall’ambiente nel quale vivono. Conoscevamo già da gran tempo queste proprietà, ma solo in anni recenti si è cominciato a capirne in dettaglio i meccanismi. Sappiamo che l’ambiente può causare delle lievi trasformazioni chimiche, cioè inserire sul dna dei marcatori che poi vengono copiati quando le cellule si dividono». Aggiungo io per chiarezza che si tratta di un ben noto e piccolo gruppo chimico chiamato «metile», il quale si fissa in certi punti sulla ben più grande molecola del dna, un po’ come un sassolino che entra nelle gomme di un grande autobus. Baulcombe prosegue: «Il marcatore non altera la sequenza del dna, ma modula l’attivazione di un gene sul quale esso va a fissarsi». Aggiunge qualcosa che, fino a pochi anni orsono, era considerata anatema: cioè che, in qualche raro caso, il marcatore epigenetico si trasmette attraverso le generazioni, da una pianta al seme e poi alla pianta che si sviluppa da esso, e così via lungo alcune generazioni successive. Negli animali, uomo compreso, i marcatori epigenetici (influenzati anche da inquinamento, alimentazione, stress, invecchiamento, alcol e droghe, farmaci) si trasmettono dai genitori ai figli. Qui si impone, penso, di precisare qualcosa che è lasciato implicito da Baulcombe e ben noto a tutti coloro che lavorano in epigenetica. In un certo senso, solo in un certo senso, si ha un fenomeno di un tipo chiamato Lamarckiano, cioè un’ereditarietà di caratteri acquisiti. Non si ha, però, un vero ritorno del Lamarckismo, perché nei mammiferi tale trasmissione non va oltre la terza o quarta generazione (un po’ di più nel moscerino della frutta). E il tratto che viene trasmesso si connette solo molto indirettamente alle risposte al fattore ambientale che lo produce. Chiedo al professor Baulcombe come i suoi studi sulle piante si ripercuotono, piu’ generalmente, sul vasto campo dell’epigenetica. «Vi sono molti livelli di complessità nell’interazione tra geni ed ambiente. Una delle frustrazioni oggi emergenti, da quando possiamo fare la sequenza completa del genoma di una pianta o di un animale, è la grande difficoltà nel connettere una sequenza genica con un tratto biologico manifesto. Adesso sappiamo che questo fallimento è dovuto al fatto che molti di questi tratti hanno una componente epigenetica». I meno giovani tra noi ben ricordano il celebre caso, o piuttosto lo scandalo, Lyssenko. Trofim Dennisovich Lyssenko, una canaglia di botanico accademico sovietico, riuscì a persuadere prima Stalin e poi Krusciov che aveva le prove irrefutabili dell’ereditarietà dei caratteri acquisiti, tesi cara al progressivismo marxista. Fece imprigionare i suoi oppositori scientifici, cioè i veri genetisti, bollandoli come «nemici del popolo». Baulcombe è la persona ideale per dirci, sotto il profilo epigenetico attuale, se Lysssenko non aveva, in fin dei conti — criminalità politica a parte — visto qualcosa di vero. La sua risposta è netta e sferzante: «Nessuna rivalutazione di Lyssenko è legittima. Era un imbroglione imperdonabile, senza alcun dato scientifico accettabile. Fece deportare e poi morire nel Gulag, nel 1943, il grande genetista Nikolai Vavilov. Genetica ed epigenetica sono non solo mutuamente compatibili, ma devono collaborare attivamente, al di sopra di ogni opinione politica». Poi aggiunge: «Le piante possono essere condizionate a resistere alla siccità e poi trasmettere questa resistenza alle generazioni successive. Questo può avere conseguenze importanti in agricoltura». Per finire, gli chiedo un giudizio complessivo su quella che è stata definita da alcuni «la rivoluzione epigenetica». «La rivoluzione è quella della biologia nel suo complesso, e vi sono state varie fasi, dalla scoperta della struttura del dna nel 1953 all’epigenetica attuale. I fenomeni del vivente sono molto complessi, le moderne tecnologie ci aiutano capirli, un po’ meglio ogni volta. Cominciamo a capire perché il tutto è più della somma delle sue parti». Mi dichiara che si sente molto fortunato e privilegiato per aver potuto seguire una carriera nella scienza. E aggiunge che è molto lusingato di ricevere il prestigioso Premio Balzan.