Dal laboratorio di Torino alla ribalta nazionale

Corriere della Sera
Adriana Bazzi

Depliant del 2008 parlano di percorsi terapeutici, di malattie cuabili e di costi. Siamo a fine aprile del 2009. In un modesto ambulatorio di Torino, corso Moncalieri 315, Leonardo Scarzella, di mattina neurologo all’Ospedale Valdese, visita privatamente pazienti con problemi neurologici e propone una cura innovativa: il trapianto di cellule staminali. La terapia, come il medico illustra all’inviato del Corriere della Sera che gli sottopone la cartella clinica di un signore sessantaduenne colpito da ictus e semiparalizzato, prevede una serie di tappe. Prima il prelievo di cellule staminali dal midollo del paziente stesso, poi la moltiplicazione in un laboratorio (ma non ci è dato di conoscere il nome) e infine la somministrazione al paziente, in tre sedute, attraverso una puntura lombare. Per maggiori informazioni sulla clinica dove saranno attuate queste procedure, il dottor Scarzella (che dice di avere rapporti con centri in Gran Bretagna, Germania e Italia, a Trieste) ci suggerisce di rivolgerci al professor Davide Vannoni e ci fornisce il numero di telefono. Costo del trattamento? Dai 20 ai 30 mila euro, risponde Scarzella, più 7 mila per ogni puntura lombare. Il nome di Vannoni non è nuovo: compare in alcuni depliant che in quello stesso periodo vengono inviati a pazienti paraplegici e propongono cure a base di staminali. Depliant e altri documenti, datati 2008, parlano di percorsi terapeutici, di malattie curabili con questo trattamento, di costi, di risultati. E citano la Re-Wind Biotech, azienda che si prefigge di produrre linee cellulari adatte all’applicazione terapeutica sull’uomo e la Stem Cell Foundation (costituita nel 2008 nella Repubblica di San Marino) che ha l’obiettivo di sviluppare la ricerca sulle staminali adulte: il presidente è Vannoni. Vannoni è professore associato di Psicologia all’Università di Udine e uno dei soci di Cognition, un istituto di ricerca e formazione che si trova in via Giolitti 41 a Torino e condivide la sede con la Re-Wind Bio-tech e la Stem Cell Foundation: il numero di telefono corrisponde a quello fornitoci da Scarzella. Insomma, un intreccio di nomi, di società, di fondazioni, in cui è difficile districarsi. Anche perché nel 2009, Vannoni fonda la Stamina Foundation Onlus (con sito e pagina Facebook) «per sostenere la ricerca sul trapianto di staminali mesenchimali e diffondere in Italia la cultura della medicina rigenerativa». In questa confusissima storia, Raffaele Guariniello, sostituto procuratore presso la Procura del Tribunale di Torino vuole vederci chiaro, anche perché la legge italiana vieta il ricorso alle staminali al di fuori di protocolli sperimentali riconosciuti. In seguito all’articolo del Corriere (3 maggio 2009) e all’esposto di un impiegato della Cognition (avrebbe visto passare, negli uffici della società di ricerche ci mercato, pazienti gravi pronti a pagare per trattamenti con le staminali) la Procura torinese apre un’inchiesta sull’attività della Stamina Foundation (e su una clinica a Carmagnola, la Lisa Day Surgery) e l’indagine preliminare si conclude, nell’agosto del 2012, con la richiesta di rinvio a giudizio per 12 indagati tra cui alcuni medici e lo stesso Vannoni. I reati ipotizzati sono somministrazione di farmaci imperfetti e pericolosi per la salute pubblica, truffa e associazione a delinquere. Inoltre il pm ipotizza che numerosi familiari dei pazienti abbiano versato alla Stamina Foundation somme di denaro comprese fra i 30 e i 50 mila euro. Nel frattempo, però, la Fondazione continua la sua attività in ambito clinico, applicaido su numerosi pazienti il «protocollo Stamina» (protocollo che, però, non è mai comparso in alcuna rivista scientifica) grazie anche alla collaborazione con il dottor Marino Andolina, coordinatore del Dipartimento trapianti adulto e pediatrico all’Ospedale Burlo Garofolo di Trieste. Andolina incontra Vannoni a San Marino e si lascia coinvolgere nel «progetto staminali». Questo progetto, racconta Vannoni in un’intervista, nasce da una sua esperienza personale: curato nel 2004 in Ucraina per una paralisi facciale con un trapianto di staminali, vuole importare il trattamento in Italia. E lo fa prima a Torino, in una clinica privata, poi, dopo la normativa europea del 2007 che pone limiti alla ricerca sulle staminali, va a San Marino. E infine, tramite Andolina, approda al Burlo. In un primo momento l’accordo con l’ospedale prevede solo una collaborazione sul piano della ricerca, poi Andolina comincia a trattare pazienti (all’inizio di domenica, per non interferire con il lavoro dell’ospedale, e gratuitamente, dice). Nel 2010 vengono curati numerosi casi, soprattutto di bambini, con patologie come la tetraparesi spastica e la sindrome di Niemann Pick, ma anche casi di Parkinson e di sclerosi multipla. Ed è in quell’anno che comincia il braccio di ferro fra medici che criticano il metodo (perché non supportato da sperimentazioni scientifiche) e giudici che impongono la cura, fra pazienti (soprattutto genitori di bambini con malattie gravi e spesso incurabili) che invocano il trattamento e direzioni ospedaliere che pongono il veto, in un valzer di dichiarazioni, smentite, prese di posizione o non prese di posizione da parte di tutti. Guariniello, intanto, fa sequestrare le cellule a Trieste e l’attività si blocca per circa un anno. Poi riprende fino a quando, nel novembre del 2012, il ministero della Salute boccia definitivamente quello che è stato definito il «metodo di bella» delle staminali. Nell’ottobre del 2011, mentre a Trieste tutto è fermo, Andolina ottiene dagli Spedali Civili di Brescia di avviare le cure con il «metodo Stamina» a uso compassionevole per bambini affetti da gravissime patologie neurovegetative, come Celeste, Gioele, Sofia, nomi che si incontrano nelle cronache delle ultime settimane. Si sta riproponendo la querelle medico-giudiziaria.-scientifica di Trieste, ma questa volta amplificata dal programma televisivo delle Iene e dall’articolo di Adriano Celentano, schierati a favore del «metodo Stamina». Nel frattempo i giudici decidono a chi spettano queste cure (su 37 pronunciamenti i sì sono stati 32), fino al paradosso dei due magistrati di Torino che, di fronte alla richiesta di due fratelli con la stessa malattia neurodegenerativa, hanno preso decisioni opposte. E il 21 marzo il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto-legge presentato dal ministro Balduzzi, che autorizza la prosecuzione del trattamento per chi lo ha già cominciato.