Da anni in coma vegetativo ora comunica con i ricercatori

La Stampa
Verna Marina

Hai male»? «No». Queste tre parole entreranno nella storia della medicina perché annullano un dogma delle neuroscienze: il paziente in coma vegetativo non ha coscienza di sé nè consapevolezza del mondo intorno. Un clinico di Cambridge, il neuroscienzato Adrian Owen, soprannominato dalla stampa anglosassone «l’uomo che legge la mente», ha dimostrato il contrario. E lo racconta in uno straordinario documentario andato in onda sulla Bbc. Il suo compagno in questa avventura è un canadese di 39 anni, Scott Routley, in coma vegetativo da 12 in seguito a un incidente d’auto. Con i metodi tradizionali – stimoli visivi, olfattivi e tattili – finora non aveva dato segni di consapevolezza. Trasmigrato dall’Inghilterra al Canada come direttore del Brain and Mind Institute dell’Università dell’Ontario, il professor Owen ha fatto un passo avanti rispetto a quanto aveva già scoperto a Cambridge alla fine degli Anni 90 su una ragazza di 26 anni, Kate Bainbridge, in coma vegetativo per una infezione virale acuta. Allora, già ipotizzando un’attività cerebrale, le aveva mostrato facce familiari mentre monitorava l’attività cerebrale attraverso la Pet. L’ipotesi di rivelò esatta: alla vista delle fotografie, si attivava una specifica area del cervello, quella facciale fusiforme. La ragazza dunque era consapevole. Sei mesi dopo Kate era fuori dal coma, e – sulla carrozzella ma lucida e attiva – raccontava alla Bbc il dramma dell’impossibilità di comunicare: «Mi sentivo intrappolata nel mio corpo. Capire e non poterlo dire era spaventoso. Avevo un sacco di domande da fare – dove sono? cos’è successo? – ma non riuscivo a farle, non riuscivo a muovere la faccia per farmi capire». Dopo quel successo, Owen trasferisce le sue ricerche in Canada, dove utilizza la risonanza magnetica (Mri) per scannerizzare il cervello del suo nuovo «caso clinico». Il risultato va nella stessa direzione: quando a Scott Routley viene posta una domanda molto semplice, che prevede la risposta sì-no, si attiva una specifica area del cervello, dimostrando che la domanda è stata recepita e si sta elaborando la risposta. Dopo «soffrì?», a Scott viene chiesto: «Stai andando a casa?» e «Giochi a tennis?» – e sempre la risposta è pertinente. «Scott è riuscito a mostrare che la sua mente pensa – ha detto Owen intervistato dalla Bbc -. Lo abbiamo testato più volte e sempre c’è un’attività cerebrale che mostra chiaramente come stia scegliendo la risposta per la nostra domanda. Pensiamo che sappia chi è e dove si trova». Quanto agli sviluppi futuri, «interrogare un paziente in coma è importante per migliorare la qualità della sua vita. Potremo chiedergli se vuole essere lavato, o ha fame o altri piccoli desideri di questo genere». Felicissimi delle parole di Owen sono i familiari, e non solo per la speranza di recupero: avevano sempre detto ai medici che il «caso clinico» capiva e rispondeva muovendo il pollice, ma mai erano stati creduti.