Costa (Centro trapianti): “Comprendiamo il dolore ma dobbiamo rispettare le leggi e i trattati europei”

Avvenire
Francesca Lozito

Avere un atteggiamento umano e di accoglienza nei confronti  della vita di una bambina e del dolore di una famiglia, ma non dimenticare il quadro delle norme. E chiara la posizione espressa da Alessandro Nanni Costa, direttore del Centro nazionale trapianti, in merito alla richiesta dei genitori della piccola Sofia, di effettuare la seconda infusione di cellule staminali con il metodo Stamina, al quale la bimba fiorentina era già stata sottoposta nel dicembre scorso. Infusione avvenuta nei giorni scorsi agli Spedali Civili di Brescia. La piccola, tre anni e mezzo, è affetta da una malattia degenerativa e secondo i genitori la prima infusione le avrebbe fatto recuperare una parte della vista e dell’uso di gambe e braccia. Il metodo Stamina “lavora” le cellule staminali alla stregua di un farmaco, e non ha ottenuto l’iutorizzazione dell’Aifa, l’agenzia nazionale del farmaco. Nel corso dell’ultimo anno, poi, ci sono state due ispezioni a Brescia, presso gli Spedali civili, in cui il ministero ha segnalato la non congruità di questo metodo rispetto a precise norme europee, dettate da un regolamento, il 1.394. La reazione del mondo scientifico, pur comprendendo la natura drammatica della situazione umana della bambina e dei suoi genitori, è unanime: anche se per uso, occorre ribadire che questo metodo non ha alcuna valenza scientifica. Per questo l’altro ieri un gruppo di ricercatori ha scritto una lettera aperta al ministro Balduzzi dai toni molto duri. Il Centro nazionale trapianti chiarisce dunque come si è proceduto nei confronti del caso della piccola Sofia: «Bisogna tenere conto – spiega il direttore Alessandro Nanni Costa – delle normative europee da una parte e dall’altra della situazione drammatica dal punto di vista umano ancor prima che sanitario». Nanni Costa ribadisce che questa decisione di effettuare una sola seconda infusione «è stata presa dalla magistratura e non dal Ministero» e che siamo di fronte a decisioni che «costituiscono un provvedimento autonomo, caso per caso». Difficile, dunque, immaginare da qui a breve un via libera generalizzato per tutte le richieste di utilizzo del metodo Stamina. Di cui proprio l’altro ieri sono stati resi noti i primi risultati di una sperimentazione su cinque bambini affetti da Sma a Trieste. Risultati che non hanno dato gli effetti sperati.