Contro la sclerosi multipla la sfida diventa globale

Agnese Codignola

Ricerca scientificaUna diagnosi che appariva particolarmente crudele, perché la sclerosi multipla colpisce le persone (le donne in proporzione doppia rispetto agli uomini) nel pieno dell’attività lavorativa e dei progetti di vita, tra i quindici e i cinquanta anni (con un picco tra i venti e i trenta). Oggi, fortunatamente, non è più così, perché esistono terapie per alleviare i sintomi della malattia ma, soprattutto, per rallentare la degenerazione della trielina, la guaina  Sarà Nicoletta Mantovani Pavarotti la testimoniai per l’Italia della prima Giornata mondiale dedicata alla sclerosi multipla. La giornata, che si svolgerà in venti Paesi, ha lo scopo di promuovere la conoscenza della malattia e di sostenere la ricerca con la raccolta di fondi  protettiva che avvolge i nervi e che viene danneggiata dagli auto-anticorpi che l’organismo malato produce. In seguito al danneggiamento della mielina gli impulsi nervosi non vengono più trasmessi in modo efficace e, più tardi, anche le cellule nervose si degradano in modo irreparabile. Sintomi tipici di questa progressione sono i danni alla vista, all’apparato urinario, alla sfera sessuale, difficoltà di movimento e stanchezza invalidante. Se oggi è possibile controllare l’evoluzione di questa malattia, lo si deve anche all’impegno profuso negli ultimi vent’anni dall’Associazione italiana sclerosi multipla, che va dai finanziamenti raccolti a favore della ricerca (oltre il settanta per cento del denaro speso in Italia viene dall’Aism) all’assistenza a pazienti e familiari, dalla formazione di giovani specialisti e ricercatori alla sensibilizzazione  la demielinizzazione avviene per gradi: farmaci e terapie mirate puntano a bloccarne il decorso, ma alcuni riescono addirittura a riparare i danni  alla tutela dei diritti dei malati. In occasione della settimana dedicata a questa malattia (il cui ultimo giorno, il 27 maggio, coincide con la prima Giornata mondiale della sclerosi multipla), IAism ha deciso di lanciare la sua nuova sfida: costruire un network mondiale di centri di eccellenza per accelerare gli studi clinici e garantire ai pazienti più giovani un futuro il più possibile sano. Spiega Mario Alberto Battaglia, presidente della Fondazione Aism, che coordina l’attività di ricerca: «Oggi la diagnosi viene fatta precocemente, anche in età pediatrica: in Italia abbiamo circa cinque-settecento malati con meno di quindici anni. Ma non è detto che l’ìter diagnostico sia sempre corretto, e quindi molti di questi piccoli pazienti non vengono poi trattati adeguatamente, rischiando così di vedere compromessa la loro vita futura anche quando ciò si potrebbe evitare con le cure di cui già oggi disponiamo». Anche da queste considerazioni è nata l’idea di mettere in comune le conoscenze sulla malattia sparse nel mondo: «Noi italiani abbiamo fortemente spinto per la creazione di una rete mondiale tra i centri di ricerca, che al momento coinvolge sedici Paesi, e per l’istituzione di un Registro internazionale per le forme pediatriche. È un punto di partenza per razionalizzare la diagnosi e trovare protocolli terapeutici condivisi». Lo scopo è anche quello di riuscire a raccogliere più informazioni sulle cause scatenanti, della sclerosi: in un bambino infatti è più facile analizzare tutto ciò che è accaduto nel suo organismo prima della comparsa dei sintomi, a quali infezioni è stato esposto e così via. Sulle infezioni che possono dare avvio alla riposta auto-immune alla base della sclerosi è incentrato anche un altro progetto finanziato dallAism: è diretto da Francesca Aloisi, del Dipartimento di biologia cellulare e neuroscienze dell’Istituto superiore di sanità. La ricercatrice ha esaminato ventidue pazienti e ha scoperto che ventuno di essi avevano, proprio nelle zone danneggiate, accumuli di globuli bianchi infettati con il virus di Epstein Barr, responsabile della mononucleosi infettiva. Ora si tratta di capire perché questo virus, che è molto diffuso nella specie umana, in alcune persone sia così strettamente associato alla malattia. Un altro settore di ricerca è quello sulla protezione della mielina, la sostanza di cui è fatta la guaina dei nervi, dal danno. Se ne occupa Carla Taveggia, ricercatrice dell’Istituto San Raffaele di Milano, tornata in Italia da pochi mesi dopo sei anni alla New York University grazie a una borsa delIAism chiamata «Costruisci una carriera» e istituita per favorire il rientro dei cervelli. Spiega Taveggia: «È noto che nel danno alla mielina è coinvolta una proteina chiamata neuregulina, la quale non ripara più, come fa invece nei tessuti sani, la mielina lesa; noi stiamo cercando di capire se e come sia possibile tornare a sfruttarne appieno tutte le potenzialità di questa proteina. Inoltre la neuregulina è danneggiata dalle secretasi, enzimi molto importanti anche nell’Alzheimer e sui quali stanno lavorando molte aziende. Fermare in modo specifico le secretasi potrebbe essere un altro modo  efficace per arrestare la malattia». In attesa che la ricerca di base dia i suoi frutti, i malati possono comunque contare già su diverse classi di farmaci: dal 2002 è presente in Italia il glatimer, una miscela di aminoacidi che preserva la mielina; si usano poi immunosoppressori e immunomodulanti, quali l’interferone beta, nonché un anticorpo monoclonale: quest’ultimo, secondo uno studio recente della New York University; non solo protegge dal danno la mielina, ma sarebbe addirittura in grado di ricostituirla.