Con i disabili nel nome di Welby

Nei giorni scorsi, nel silenzio quasi totale dei media nazionali, settanta disabili gravi e gravissimi, tra cui i malati di Sla, hanno intrapreso uno sciopero della fame per sollecitare l`attenzione del governo sullo sblocco di 658 milioni di euro stanziati da Monti nella spending review. Soldi pronti, ma privi di un piano di destinazione. Ora lo sciopero è momentaneamente sospeso perché i ministri Fornero e Balduzzi hanno promesso un intervento concreto. Ma quello sciopero aveva anche un altro obiettivo: trovare una sponda nell`opinione pubblica, perché noi cittadini potessimo vigilare affinché ai malati venga dato ciò che chiedono e che Berlusconi gli aveva tolto azzerando il fondo per la non autosufficienza.

Non è il momento di dire «Occupiamoci piuttosto di altro», «Occupiamoci piuttosto di noi». È il momento di occuparci di loro. Un fondo per la non autosufficienza di almeno 400 milioni di euro deve essere destinato prioritariamente a disabili gravi e gravissimi. Blindato sugli obiettivi per evitare distorsione dei fondi da parte delle Regioni e diretto anche al progetto “Restare a casa”, proposto dal Comitato 16 novembre onlus, per un aiuto concreto alle famiglie. Servono almeno 4 mila curo al mese perché le spese di elettricità, gas, riscaldamento sono esorbitanti. Su Internet si trovano le testimonianze video di alcuni malati di Sla in sciopero. Spesso la voce che sentiamo non è la loro, ma quella di un computer. Eppure sono voci piene di umanità e indignazione. Giusy Lamanna, 50 anni, di Taranto: «Abbiamo bisogno di assistenza per 24 ore al giorno. I nostri famigliari sono distrutti da un lavoro incessante ed estenuante. La smettesse lo Stato di non darci ascolto perché noi esistiamo, siamo perfettamente in grado di intendere e volere, e vogliamo vivere dignitosamente. Grazie». Paolo musicista e Maria ricercatrice volevano trasferirsi in Usa, ma non è stato possibile perché Paolo ha scoperto di essere affetto da Sla: «In Italia non c`è la cultura della disabilità, ossia la consapevolezza del rispetto e delle esigenze del disabile». I malati, senza alcuna assistenza, si lasciano morire ogni giorno rifiutando il passaggio alla respirazione artificiale. Lo dice Paolo Ravasin: «È molto meglio morire di fame piuttosto che morire soffocati». Quando la Sla irrompe lo fa così, con voce metallica, con la sua immobilità disarmante che ci fa pensare tutto troppo complicato perché possiamo farci carico di quelle sofferenze. Ma quando incontrai Mina Welby per me fu una sorpresa immensa entrare nella sua vita, sua e di Piero, così diversa dalla mia, apparentemente così lontana da ciò che noi immaginiamo essere felicità. Una vita piena d`amore.

Era la primavera del ’73, quando  Mina e Piergiorgio si conoscono e si innamorano. Lui sessantottino, laico, aveva girato l’Europa, scriveva, dipingeva. Lei cattolica praticante, in viaggio con la parrocchia a Roma. Due mondi apparentemente lontani. Piergiorgio propone a Mina di vivere insieme e dopo qualche anno, nel 1980, si sposano. Lui è già in carrozzina. Il decorso della malattia è inevitabile: dalla sedia a rotelle alla costrizione in casa, attaccato al respiratore. Nel `97, dopo una grave crisi, Piero viene tracheotomizzato e da quel giorno vivrà attaccato a un respiratore, immobile, a letto. Ma la loro vita insieme non è solo difficoltà e sofferenza. La loro è una vita piena díìletture, di passioni, di gioie. Di forza e sostegno tutto famigliare, se si pensa al misero accompagnamento con cui lo Stato li ha sostenuti, 450 mila lire al mese, poi 500 curo. Nel 2001 la malattia peggiora e il resto è storia. Una storia di passione e lotta in difesa dei diritti umani. Una storia che ogni italiano dovrebbe conoscere. Storia del corpo di un uomo che ha deciso di farsi campo di battaglia, per risolvere una questione incredibilmente privata nella maniera più pubblica possibile. Quando la raccontai durante “Vieni via con me”, una parte dell`opinione pubblica l`ascoltò con empatia e commozione. Ma un`altra urlò indignata che la televisione pubblica aveva dato spazio al “partito della morte”, senza comprendere che sarebbe stato più giusto forse definirlo “partito della scelta”. Ma prima ancora di parlare di morte o di scelta, sarebbe stato utile se si fosse aperto un dibattito, l`unico possibile e doveroso su quelle vite, che lo Stato italiano ha il dovere, oggi e sempre, di tutelare e rendere dignitose.