Chi ha paura della scienza

Ricerca scientificaC’è un nesso preciso tra libertà di espressione e libertà di ricerca. E possibile valutarlo grazie al progetto degli "Indicatori" promosso dall’Associazione Coscioni
I ricercatori di ogni continente condividono l’obiettivo comune della crescita della conoscenza scientifica. Eppure scienziati e operatori sanitari lavorano in contesti normativi che spesso limitano, in misura diversa da Paese a Paese, la loro libertà di ricerca. Tramite il progetto degli "Indicatori", promosso dall’Associazione Coscioni, è ora possibile quantificare i diversi livelli di libertà di ricerca in rapporto all’ambito sociopolitico – culturale in cui la scienza si trova a operare.

Per saperne di più left ha chiesto di illustrare i passaggi più significativi dello studio al professorAndrea Boggio, docente di Diritto alla facoltà di Storia e scienze sociali della Bryant university (Stati Uniti) nonché coordinatore della cellula Coscioni di Boston. È lui infatti il coordinatore di un primo interessante monitoraggio che si è basato sui dati qualitativi raccolti in lo Paesi: Brasile, India, Irlanda, Nuovo Galles del Sud, Nuova Zelanda, Panama, Quebec, Sudafrica, Spagna e Svezia. «Anzitutto – spiega Boggio – in qualche misura il modello del progetto è "Freedom of the press", il rapporto pubblicato da Freedom House, che da molti anni si occupa di monitorare la libertà di stampa. Questo è il fine ultimo anche per noi ma non siamo ancora giunti a quel punto». Il nesso tra libertà di stampa e libertà di ricerca non è casuale. «Sia il lavoro del giornalista, sia quello dello scienziato sono espressione del pensiero», osserva il professore. «Quando viene Intaccata la libertà di pensiero, insieme alla libertà di stampa, immediatamente anche la ricerca scientifica inizia a correre pericoli». Dal punto di vista pratico, il progetto degli "Indicatori" ha dimostrato anche un’altra correlazione.

Quella che c’è tra la limitazione della ricerca e il tipo di legame che esiste tra questo mondo e quello della politica. Meno è diretto questo legame, più la scienza è libera di agire. «L’esempio più illustre è sempre quello delle cellule staminali embrionali», osserva Boggio. «Questo è un campo in cui idee diverse competono al fine molto di determinare cosa sia la vita umana. Prendiamo il caso italiano, da un lato c’è la politica che riconosce all’embrione lo status di persona, dall’altro c’è la scienza che dimostra come l’uomo sia persona solo alla nascita. Il risultato è che nel momento in cui viene proibito di fare ricerca in quel campo ovviamente si toglie anche la libertà di pensare che l’embrione non sia una persona». L’Italia non è tra i 10 Paesi monitorati dall’équipe di Boggio ma l’esempio delle staminali ci riporta al progetto degli "Indicatori". E ai quattro campi di attività di ricercatori e operatori della sanità presi in considerazione dallo studio: tecnologie di riproduzione assistita; ricerca con le cellule staminali embrionali; scelte di fine vita; aborto e contraccezione.

«I risultati preliminari – dice Reggio – dimostrano che gli Stati possono essere classificati a seconda del livello di libertà di cui godono ricercatori e operatori sanitari. Estendere questo tipo di analisi a un numero maggiore di Paesi si rivelerà certamente utile per valutare i fattori politici e culturali che sono alla radice delle limitazioni alla libertà di ricerca». Più in concreto, il professore riporta l`esempio della differenza tra Svezia, Irlanda e Spagna. E poi c’è il caso Panama. «Poiché metà dello studio verteva su eutanasia e aborto, ciò ha avuto un impatto sulla classificazione di Spagna e Irlanda come Paesi piuttosto conservatori dal punto di vista anche della ricerca. Al contrario, le politiche sociali molto più progressiste consentono alla Svezia di avere un punteggio molto basso e di classificarsi quindi come Paese molto libero». Panama, infine, rappresenta un caso interessante. Anche il suo punteggio è basso. «La spiegazione è semplice», dice Boggio. «Qui la ricerca sulle staminali non è regolamentata, dunque non esistono restrizioni. Tale assunto può anche dimostrarsi non vero ma mostra che siamo in presenza di una sfida: come ci comportiamo con i Paesi in cui non esiste regolamentazione?». Se pensiamo all’Italia e all’assenza di normativa che ha portato al varo della legge 40 si potrebbe dire che a volte la cura è peggiore della malattia.