Cannabis, la skunk potrebbe danneggiare gravemente il cervello

Wired
Sandro Iannaccone

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Il consumo di skunk, una delle varietà di cannabis più diffuse e potenti al mondo, potrebbe danneggiare le fibre nervose che gestiscono la comunicazione tra emisfero destro ed emisfero sinistro del cervello. A scoprilo, un’équipe di scienziati del King’s College London e della Sapienza – Università di Roma, che, come raccontano sulle pagine della rivista Psychological Medicine, tramite scansioni cerebrali hanno mostrato le differenze nella materia bianca del corpo calloso, che connette, per l’appunto, i due emisferi del cervello, esistenti tra i soggetti consumatori della sostanza e non. I ricercatori, inoltre, non hanno notato le stesse differenze in soggetti che usano varietà meno potenti della cannabis.

Il principale responsabile del fenomeno, racconta al Guardian Paola Dazzan, neurobiologa allo Institute of Psychiatry del King’s College, è il Thc, o tetraidrocannabinolo, il principio attivo della cannabis, contenuto nella skunk in concentrazioni che possono arrivare fino al 14% (la varietà tradizionale di cannabis arriva invece fino al 4%): “Analizzando il corpo calloso, spiega Dazzan,“si notano differenze significative nella materia bianca, tra chi usa cannabis particolarmente potente e chi non l’ha mai usata, o l’ha usata in versione a basso contenuto di Thc”. Il corpo calloso, in effetti, è la zona del cervello più ricca di recettori dei cannabinoidi, particolarmente sensibili al Thc.

Per scoprirlo, i ricercatori hanno sottoposto 56 soggetti che avevano subito un episodio di psicosi e 43 volontari sani a due tipi di scansioni cerebrali, la risonanza magnetica (Mri) e il tensore di diffusione (Dti): le analisi hanno evidenziato che i consumatori quotidiani di skunk avevano una diffusività media del corpo calloso maggiore del 2% rispetto ai non consumatori. “Vuol dire, in altre parole”, spiega ancora Dazzan, “che la materia bianca è meno efficiente, il che suggerisce un trasferimento di informazioni da un emisfero all’altro meno efficiente”.

Lo studio, sottolineano gli autori, non è una conferma del nesso causa-effetto tra consumo di cannabis e danneggiamento della materia bianca: potrebbe anche essere vero il contrario, ovvero che i soggetti con materia bianca deteroriati siano più portati a consumare cannabis. È possibile”, conclude la ricercatrice, “che queste persone avessero già da prima una struttura cerebrale diversa e che fossero più propensi all’uso della sostanza. Quello che possiamo dire con certezza è che se la sostanza è molto potente, e se la si utilizza frequentemente, il cervello è diverso da quello di chi ne usa una varietà meno potente o di chi non la usa affatto”.