CannaBis, la doppia vita della Marijuana

Corriere della Sera- la lettura
Anna Meldolesi

L’erba proibita ha sempre avuto una doppia vita, come molti dei suoi fumatori. Verrebbe voglia di chiamarla canna-bis tanto è bifronte. Può essere usata per coprire il corpo e per scoprire le emozioni. E medicina e minaccia. Viene prescritta e proscritta. Come pianta è bruttina, ma iconica. Può essere della varietà indica o sativa. È fatale che anche la sua narrazione si sdoppi. Per alcuni la foglia palmata è un simbolo di libertà, per altri il biglietto di ingresso per l’inferno delle droghe pesanti. Negli anni Sessanta e Settanta a volte è sembrato che la popolarità avrebbe portato con sé l’accettazione, invece la centralità della marijuana nella controcultura ha contribuito a farne il bersaglio della guerra alla droga nei successivi trent’anni.

II pendolo della storia ultimamente volge in suo favore. Secondo l’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) la marijuana viene consumata da 147 milioni di persone. In dicembre l’Uruguay è diventato il primo Paese a legalizzarne e controllarne la vendita. Dal primo gennaio può essere acquistata a scopo ricreazionale in Colorado e quest’anno dovrebbero aprire i primi negozi nello Stato di Washington. In Italia si schierano a favore Sel e una parte del Pd. I fautori della liberalizzazione però non conducono la partita su scala globale. II rapporto tra uomini e cannabis è un intreccio di tabù e paradossi che si è ingarbugliato nel corso dei millenni; non sarà facile da sbrogliare. Quando i nostri antenati hanno iniziato a coltivare la canapa nel Neolitico erano interessati alle fibre, ma ben presto sono stati conquistati dai suoi effetti speciali.
 Forse non siamo stati noi ad addomesticare la cannabis, è lei che ha addomesticato noi. La pensa così il «filosofo del cibo» Michael Pollan, che nel libro La botanica del desiderio (II Saggiatore, 2013) racconta il mondo dalla prospettiva di quattro specie: mela, tulipano, patata e cannabis, appunto. Pensateci bene: perché l’evoluzione ha premiato la produzione di sostanze psicoattive in una pianta? Forse il tetraidrocannabinolo (ne) aiuta l’«erba» a proteggersi dai danni delle radiazioni o dai parassiti. O forse, suggerisce Pollan, le è servito da esca per attirare noi. II desiderio umano di esperienze trascendenti, leggerezza e oblio sarebbe stato utilizzato dalla canapa per guadagnarsi i favori degli uomini, che si sono dati da fare per coltivarla. Le vie di diffusione sono state due come due sono i bisogni umani che può soddisfare, offrendo tessuti e piacere. La via delle fibre — utili per fabbricare abiti, corde, vele e carta — sarebbe partita dalla Cina, arrivando in Europa e poi in America. La via della droga, invece, dai piedi dell’Himalaya si sarebbe diretta in India, Persia, Medio Oriente e Africa. In Europa la marijuana sarebbe stata introdotta più di ANA 3 mila anni fa dagli Sciti. Molto tempo dopo alla sua diffusione ha contribuito l’esercito di Napoleone impegnato in Egitto. Nelle Americhe, invece, sbarca nel XVI secolo con la tratta degli schiavi africani, che ne portano i semi con sé sulle navi e la usano per resistere alla fatica nelle piantagioni. Oggi è illegale in gran parte del mondo, anche se numerosi studi scientifici attestano che il suo rapporto rischi-benefici non è peggiore di quello dell’alcol. Dal punto di vista logico non siamo in una situazione molto diversa da quella dell’America del 1920, quando la marijuana era lecita e l’alcol vietato. II potenziale terapeutico della cannabis, d’altro canto, è sempre più riconosciuto: la vendita del primo farmaco a base di cannabinoidi (l’antispastico Sativex) è stata autorizzata anche in Italia, mentre in Usa la marijuana medica è ammessa in una ventina di Stati. 
Come «medicina delle meraviglie» è nuova, ma al tempo stesso antica. Alla fine dell’Ottocento sulle riviste scientifiche erano già apparsi oltre cento articoli sui suoi benefici. In Francia lo psichiatra Jacques-Joseph Moreau de Tours sperimentava con dolcetti di hashish insaporiti con pistacchi, buccia d’arancia e spezie. Li serviva anche a Honoré de Balzac, Victor Hugo, Gustave Flaubert, che si trovavano ogni mese con altri grandi all’Hotel Pimodan di Parigi per goderne gli effetti. Lo chiamavano Le Club des Haschischins. Presto la canapa avrebbe ispirato altri scrittori al di qua e al di là dell’Atlantico, da Oscar Wilde a Lewis Carroll, da IL L. Stevenson a Jack London. II voltafaccia della storia si consuma negli anni Trenta, con il contributo di circostanze fortuite, xenofobia e ignoranza, come documenta il giornalista e saggista Martin Lee nella sua storia della cannabis (Smoke Signals, Scribner, 2012). II vero bersaglio dei divieti negli Usa è la minoranza messicana, così come in passato la legislazione sull’oppio era servita a controllare i cinesi.
 È in questo periodo che i sostenitori del proibizionismo diffondono il nome ispanico, marijuana, per enfatizzarne l’uso da parte degli immigrati. L’agenzia federale sui narcotici inizia a dipingere i consumatori come violenti e maniaci sessuali Negli anni Quaranta l’accusa si ribalta e chi la fuma è uno zombie. La pianta dall’impeccabile pedigree patriottico, che era servita a stampare le prime copie della Bibbia e su cui Thomas Jefferson aveva scritto la bozza della Dichiarazione d’indipendenza, si è trasformata nell’erba del diavolo. La cattiva fama però ne fa un simbolo di ribellione ed è così che il fumo diventa letteratura con la Beat Generation di Allen Ginsberg e Jack Kerouac, e viene messo in musica da Bob Dylan e dai Beatles. La droga dei poveri diventa la droga dei college e ancora oggi non conosce barriere di classe. A spegnere gli entusiasmi delle prime iniziative per la depenalizzazione arriva l’amministrazione Reagan, ma il nuovo clima di caccia alle streghe sortisce due effetti imprevisti. II primo, spiega Lee, è che le ricerche avviate allo scopo di dimostrare i danni degli spinelli fanno luce sul sistema biologico degli endocannabinoidi, sostanze simili a quelle contenute nella droga bandita, che noi stessi produciamo per modulare molte delle nostre esperienze.
 Dalla percezione del dolore al sonno alla fame. I set di recettori sensibili nel nostro organismo, guarda caso, sono due, e anche le proprietà psicotrope della marijuana sono bifasiche, perché cambiano a dosi alte e basse. La seconda sorprendente conseguenza del proibizionismo, racconta Pollan, è che la cannabis ha trovato il modo di sfruttare anche il suo status di fuorilegge. Negli anni Ottanta gli appassionati mettono a punto sofisticate tecniche di coltura indoor per sfuggire ai controlli e sono intenti a incrociare le varietà indica e sativa, per unire la forza della prima alla piacevolezza della seconda. I divieti però convincono gli ibridatori a trasferirsi ad Amsterdam, dove la genetica a stelle e strisce incontra la tolleranza (e la passione per la floricoltura) degli olandesi. È così che si producono le varietà «migliori», si donano gli esemplari femminili, si manipolano luce e nutrienti producendo le super-piante di oggi. «Ultraincrociate, supemutrite, sovrastimolate, velocizzate e nanizzate, tutto in una volta».