A Boston si vota sul suicidio assistito

Corriere della Sera
Chiara Lalli

Alle urne il 6 novembre. Il «Death with Dignity Act» ha il merito di ridefinire (e precisare) i termini della questione.

Il prossimo 6 novembre i cittadini del Massachusetts voteranno sul suicidio assistito. Se la maggior parte sceglierà per la legalizzazione, sarà il terzo Stato degli Usa, dopo l’Oregon e Washington, a permettere ai medici di prescrivere un farmaco letale. Il Massachusetts Death With Dignity Act consentirebbe ai residenti di scegliere di morire in caso di malattia terminale — o meglio di scegliere come morire nel caso in cui l’aspettativa di sopravvivenza sia inferiore ai sei mesi, le condizioni di vita siano insopportabili o il dolore intrattabile. Il dibattito, come sempre quando si discute delle decisioni di fine vita, è infuocato. A opporsi sono i gruppi religiosi, le associazioni di disabili — principalmente per ragioni di principio — e quelle mediche, che mettono in guardia dai possibili abusi e dalla inevitabile vaghezza di alcune condizioni stabilite. Di diverso avviso molte associazioni di pazienti e di malati di Aids. Per molti c’è il ricordo di un proprio caro alle prese con una grave malattia, per tutti il pensiero di che cosa farebbero se accadesse loro. La controversia va ben oltre la legalizzazione, ma investe l’autonomia individuale e il rapporto tra medico e paziente. Una paura diffusa riguarda il messaggio che deriverebbe dalla legalizzazione, il rischio di suggerire o peggio imporre la rassegnazione ai malati e di vedere aumentare le richieste. Per evitare questo la proposta prevede un’attenta valutazione della capacità di intendere e di volere e delle modalità della richiesta, oltre a stabilire come condizione necessaria la consapevolezza delle alternative. Inoltre può essere utile sapere che cosa è successo nel 2011 in Oregon e Washington (rispettivamente con 3 e 2,5 milioni di abitanti): in entrambi gli Stati poco più di 100 pazienti hanno chiesto la prescrizione, e circa 70 ne hanno fatto uso. E’ abbastanza frequente ascoltare dai malati che il solo sapere di potervi fare ricorso è rassicurante. Vi sono poi casi come quello del reverendo Tim Kutzmark, della Unitarian Universalist Church of Reading. Fortemente contrario quando studiava allIarvard Divinity School, oggi è convinto che proibire il suicidio assistito sia una violazione della sacralità della vita. A fargli cambiare idea, secondo l’Associated Press, è stata la conoscenza del «mondo reale», soprattutto quello di un suo amico malato di Parkinson. Qualunque sia il nostro parere, il Death With Dignity Act ha il merito di offrire una sezione di definizioni dei termini necessari per la discussione, a partire da «medico» fino a concetti complessi come «capace» (di prendere decisioni in ambito sanitario) e «decisione informata», e di invitarci a riflettere su una questione profondamente mutata dall’avanzamento della medicina: la nostra morte.