Belgio: eutanasia per lo scrittore claus

di Luigi Ofeddu

Bruxelles – Diceva sempre: «Io sono uno che non può accettare le cose come stanno, ogni mattina dovremmo svegliarci con la bava alla bocca per l’ingiustizia che c’è in giro ». E ieri, in una stanza dell’ospedale Middelheim di Anversa, in Belgio, Hugo Claus ha deciso di non accettare ciò che considerava un’ingiustizia suprema, il morbo di Alzheimer: «Non ha voluto prolungare la sua sofferenza — ha detto la sua terza moglie, Veerle De Wit — e ha scelto lui il momento della sua morte, in lucidità».

La donna non ha aggiunto altro ma non ce n’era bisogno, e il resto l’hanno confermato fonti ufficiose dell’ospedale: «Sedazione palliativa», eutanasia attiva per mezzo di farmaci, così se n’è andato il massimo scrittore contemporaneo di lingua neerlandese o fiamminga, più volte candidato al Nobel della letteratura. Una vita di soavi provocazioni e feroci risate, fra surrealismo e anarchia: con grandi amori — fra le sue mogli anche Sylvia Kristel, l’attrice di «Emmanuelle»—grandi scandali — scrisse di incesto e omosessualità repressa, anticipò sulla pagina il germogliare diffuso della pedofilia— e perfino un soggiorno in galera, sotto l’accusa di pornografia, per aver portato nel 1968 tre uomini nudi sul palcoscenico di un teatro. «L’ho conosciuto abbastanza bene — ha dichiarato il ministro della cultura belga, Bert Anciaux — per sapere che voleva andarsene con orgoglio e dignità».

Ma almeno l’ultimo gesto di Claus è stato conforme alle leggi del suo Paese: dal 2002 il Belgio, con l’Olanda e con il Lussemburgo (che però attende la decisione definitiva del suo Parlamento) è una delle tre nazioni europee in cui l’eutanasia è legale. Purché si tratti di «malati incurabili, con sofferenze fisiche o psichiche costanti e insopportabili», e purché vi sia da parte di chi soffre una «richiesta volontaria, ponderata, reiterata». Secondo il primo ministro Guy Verhofstadt «Claus non riusciva quasi più a fare ciò che per 60 anni aveva fatto senza alcuna fatica: plasmare le sue parole trasformandole in frasi comprensibili, creare le espressioni giuste, le metafore. Per lui era ormai una tortura inevitabile e insopportabile ». Forse lo scrittore non ha scelto a caso la data dell’addio: fra poco, con i 79 anni, avrebbe festeggiato anche il venticinquesimo anniversario di pubblicazione della sua opera più celebre, La sofferenza del Belgio, accusa semi-autobiografica contro la famiglia tradizionale e il bigottismo delle Fiandre.

Come quel Corrono voci che racconta le tentazioni pedofile dei coloni reduci dal Congo: libro scritto poco prima che scoppiasse il caso Dutroux. Gli amici letterati sottolineano ora un’altra coincidenza: in queste ore, dopo 9 mesi di crisi, il Belgio partorisce un governo non di transizione, e Claus aveva sperato in questo sbocco riconciliatore; pur scrivendo in fiammingo, detestava il separatismo fiammingo, e con altri 400 scrittori aveva osteggiato la scissione del Belgio. Di appelli, e battaglie, è stata costellata la sua esistenza. Riversata in 200 opere: 30 romanzi, 25 raccolte di poesie, 40 drammi teatrali; e poi racconti, sceneggiature di film e quadri: come pittore, negli anni Cinquanta, aveva aderito all’avanguardia del gruppo «Cobra» (dalle iniziali delle tre città: Copenaghen, Bruxelles, Amsterdam). La sua versatilità gli aveva guadagnato molti soprannomi: «Il Picasso fiammingo», «Il Proteo della letteratura fiamminga », «il Mago». Ma tutto era nato da un’infanzia cupa. È la primavera del 1929 quando Claus nasce a Bruges, primo di 4 fratelli, in una famiglia che descriverà più tardi come soffocante. «Preferisco essere un santo idiota, come quello di Dostojevskji — dirà un giorno — piuttosto che un figlio».

Fino a 11 anni, studia in un pensionato cattolico, poi molla tutto e si guadagna da vivere come fattorino e operaio. A 17 anni ricompare a Parigi, dove frequenta artisti e letterati — «fu Antonin Artaud, il mio maestro » — e a 19 pubblica il primo libro. Non si fermerà più. Se non per qualche tempesta sentimentale: come quando, negli anni ’70, vola a Bangkok per raggiungere Sylvia Kristel sul set di «Emmanuelle». Diventerà la sua seconda moglie dopo Elly Overzier, sposata nel 1955, da cui aveva avuto un figlio. La terza, Veerle, gli era accanto l’altra notte, quando l’anarchico ha scelto di andarsene.