Babydonatori nati per salvare i fratelli

Marco Malaspina

Gioielli“Ho capito subito che c`era qualcosa che non andava”, ricorda Michelle Whitaker, all`epoca una casalinga inglese di 26 anni, ripensando ai suoi primi giorni da mamma. “Charlie non mangiava abbastanza, era pallidissimo, quasi grigio”. I timori suoi e di papà Jayson si rivelano giustificati. Nel giro di qualche mese, al piccolo Charlie viene diagnosticata una forma d`anemia estremamente rara: l`anemia di Blackfan-Diamond.

Malattia che, nei casi più gravi, costringe a frequenti trasfusioni di sangue. Il fatto è, però, che le trasfusioni portano ad accumulare sempre più ferro. E il ferro, si sa, quando è in eccesso diventa pericolosissimo. Così, per assumere la medicina necessaria a smaltirlo, Charlie è costretto a passare cinque notti alla settimana con un ago infilato nelle cosce o nello stomaco. «Quando ha iniziato a correre e a parlare», racconta Michelle, «appena mi vedeva con l`ago si rintanava sotto al tavolo della cucina: "Tu non mi vuoi bene, mamma, mi fai male!” urlava. Un`agonia per tutti. Ma la storia ha un lieto fine:

Charlie, che oggi ha 10 anni, è completamente guarito. Grazie al cordone ombelicale di Jamie, il suo fratellino più piccolo, sano e geneticamente compatibile, scelto quand`era ancora un embrione, proprio per salvare Charlie. Una tecnica dal nome difficile: diagnosi genetica preimpianto con tipizzazione dell’ Hla(sigla che identifica la nostra «carta d`identità» genetica). Significa, in sostanza, che Michelle, per mettere al mondo Jamie, anzitutto ha fatto ricorso alla fecondazione in vitro. Poi, tra gli embrioni che si sono generati, tramite l`analisi del Dna i medici hanno scelto quelli sani o portatori sani come i genitori, e «istocompatibili»: quelli cioè le cui cellule, trapiantate nell`organismo di Charlie, non avrebbero condotto al rigetto. L`embrione di Jamie è stato l`unico a impiantarsi con successo. Gli altri sono stati eliminati. E dal suo cordone ombelicale sono state estratte le cellule staminali che hanno regalato a Charlie la guarigione. È una tecnica all`avanguardia, medicalmente parlando, ma controversa sul piano etico. In Gran Bretagna, fino a qualche anno fa, era proibita. È solo dal 2004, proprio in seguito a casi come quello di Charlie, di Joshua Fletcher (altro piccolo malato di Dba) e di vari bimbi affetti da malattie quali l`anemia di Fanconi o la talassemia, che l`Hfea, la Human Fertilisation and Embryology Authority, l`autorità inglese che si occupa di monitorare le ricerche sugli embrioni, ha dato via libera per la tipizzazione dell`Hla. In Italia, invece, è ancora vietata. La legge 40 del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita proibisce la selezione degli embrioni. E nemmeno la decisione della Corte Costituzionale del marzo scorso, che ha bocciato per incostituzionalità una parte della legge, sembra aprire la strada ai bambini «nati per salvare». «Una cosa è la diagnosi pre-impianto», chiarisce Antonino Guglielmino, responsabile dell`unità di Medicina della riproduzione della Fondazione Hera di Catania, «che la nuova normativa scaturita dalla sentenza della Consultaci permette di fare. Altra cosa la scelta basata sulla compatibilità dei tessuti nei confronti di un bambino già nato. Ovviamente il problema è etico, non tecnico». Come ha mostrato la vicenda (raccontata da Oggi nel 2004) di Sina, un bambino affetto da talassemia:per selezionare le due gemelle che, col sangue del cordone ombelicale lo hanno salvato, sua madre è dovuta andare in Turchia. Un episodio isolato, per l`Italia? Tutt`altro. «Nel nostro Centro, dal 2002 a oggi, abbiamo seguito circa 400 casi», afferma Francesco Fiorentino, direttore del Laboratorio Genoma di Roma, «con diversi bambini nati e vari bimbi guariti con il trapianto. Per la tipizzazione dell`Hla, dobbiamo indirizzare le coppie all`estero, principalmente ad Atene, a Istanbul, a Bruxelles e a Londra». A dire il vero, se ciò che occorre è un trapianto di cellule staminali, quella del fratello-donatore non è l`unica strada percorribile (ma non per tutte le malattie): esistono anche le banche dei cordoni ombelicali e i Registri dei donatori di midollo osseo. «Ma i casi di rigenerazione del sistema immunitario dopo trapianti fra consanguinei», osserva Fiorentino, «sono assai più elevati rispetto alle percentuali di successo che si hanno con un donatore da Registro. Perciò auspico che tale applicazione della diagnosi pre-impianto possa attuarsi anche in Italia». Le perplessità non si limitano agli embrioni o alla medicina. Pensiamo, per esempio, alla difficile situazione che potrebbe crearsi se, magari dopo anni, il fratello maggiore dovesse avere bisogno di un rene… «È un problema serio: per il fratello minore c`è il rischio di sentirsi un donatore certificato», ipotizza Rodolfo De Bernart, psichiatra e psicoterapeuta, direttore dell`Istituto di Terapia familiare di Firenze, «una sorta di deposito d`organi. Ma lo stesso vale anche per il fratello maggiore essendo la compatibilità reversibile: può accadere che sia il fratello più giovane ad avere, un giorno, bisogno di un trapianto». Casi estremi a parte, anche l`inevitabile gioco di ruoli fra «salvato» e «salvatore» può risultare arduo da gestire. «Certo, come tutti gli atti d`amore forti», afferma De Bernart, «mettere al mondo un bimbo per salvarne un altro non è cosa che non costi nulla. Verso il secondo figlio i genitori potrebbero sviluppare un senso di colpa, che rischia di venire affrontato nel modo sbagliato. Per esempio, costringendo il fratello maggiore a essere riconoscente, a sentirsi in debito. E persino durante una normalissima scenata di gelosia tra fratelli potrebbero scapparci frasi capaci di esasperare le relazioni. Del tipo: "Ma ti rendi conto che gli devi la vita?"». «Detto ciò, se una coppia si sente d`affrontare tutto questo per salvare il figlio, penso che sia una scelta da rispettare. Quanto alla selezione dell`embrione, è un fatto tecnico: prima non si poteva, ora sì. Si tratta di agire in modo responsabile, con la consapevolezza che è un`operazione al limite dell`etica, certo, ma che può salvare una vita». «La possibilità della diagnosi genetica e dell`Hla sono sempre motivate dall`amore verso i figli e dalla necessità di non dar loro una vita condizionata dalla sofferenza», interviene Guglielmino. «Mettere al mondo un altro bimbo, pensando anche che lui può aiutare il fratello, è sempre un atto di volontà positiva. Un gesto assoluto d`amore verso entrambi». E il piccolo Jamie, dall`alto dei suoi sei anni, non potrebbe che sottoscrivere. «È vero, ho salvato la vita di Charlie», dice sorridendo. «Se lo rifarei? Ma certo: è mio fratello!».