Antipsicotico rallenta gli effetti della SLA: la ricerca va avanti

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Da uno studio frutto della collaborazione di numerosi centri di ricerca Canadesi, Americani e Francesi  giunge la notizia che un medicinale utilizzato per trattare i sintomi della schizofrenia si è dimostrato in grado di rallentare la progressione della sclerosi laterale amiotrofica (Sla), malattia neurodegenerativa per la quale attualmente non esiste una cura efficace, in tre modelli animali e, molto parzialmente, anche nell’uomo (ref).

Si tratta di dati molto preliminari che necessitano di importanti conferme per le quali sono stati avviati gli opportuni trials clinici ma ciò che è importante notare è come la ricerca si sia sviluppata secondo fasi precise.  Innanzitutto l’idea, ormai sempre più seguita, di testare un grande numero di farmaci già in commercio  (e quindi con una tossicità già nota) ma con una indicazione diversa, su un modello di una specifica patologia: in questo caso la SLA.

I ricercatori sono quindi partiti da un modello molto semplice: un verme nematode (Caenorhabditis elegans o C. elegans) che possiede circa 300 neuroni in cui è stata indotta una delle modificazioni genetiche che nell’uomo causano la malattia e che induce una paralisi anche nei nematodi. In questo modello sono stati testati circa 3800 composti per la loro capacità di ridurre la paralisi di C. Elegans e di questi 13 composti si sono mostrati efficaci. A questo punto i ricercatori sono passati ad un modello più evoluto, il pesce zebra, portatore della stessa modificazione genetica e hanno ri-testato i 13 farmaci attivi in C. Elegans individuandone 1 più attivo di tutti gli altri. Da qui i ricercatori hanno fatto un ulteriore passo, testando il farmaco selezionato in un modello ancora più evoluto: il topo portatore della stessa modifica genetica. Dato che anche nel topo il farmaco ha mostrato effetti neuro protettivi, il gruppo di ricerca ha avviato le prime fasi di test nell’uomo che hanno dato risultati incoraggianti anche se molto preliminari.

Al di là delle incoraggianti prospettive per il trattamento di una patologia che, ad oggi, non ha ancora una cura ciò che è importante notare è la rigorosità del percorso scientifico adottato: un primo modello molto semplice (invertebrato; C. Elegans) per lo screening di migliaia di principi attivi, poi la verifica del dato su un modello più complesso (vertebrato classe pesci; Zebrafish) e infine, prima di passare all’uomo, la selezione del miglior candidato in un modello molto simile all’uomo (vertebrato classe mammiferi; topo).

Questo studio è la migliore dimostrazione di come il modello animale, a partire dagli invertebrati per arrivare ai primati non-umani, sia ancora essenziale per lo sviluppo di nuove terapie ma, allo stesso tempo, di come i ricercatori siano i primi a ridurne l’impiego solo ai casi in cui è strettamente necessario.

Grazie allo sviluppo della tecnologia il verme nematode C. Elegans, considerato dalla normativa Europea un “metodo alternativo alla sperimentazione animale” in quanto non appartenente all’insieme dei vertebrati, è sempre più utilizzato in ricerca biomedica in sostituzione di modelli animali con un sistema nervoso centrale più sviluppato e quindi, presumibilmente, più capaci di provare dolore, sofferenza e stress.


Di Giuliano Grignaschi, membro del Consiglio generale dell’Associazione Luca Coscioni

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