Alzheimer. Ah saperlo prima

L’Espresso
Agnese Codignola

Anche se al momento non esistono vere cure, la demenza di Alzheimer può essere contrastata con opportune terapie cognitive e farmaci. A patto, però, che la diagnosi arrivi prima possibile. Ma la malattia, finora, è sempre sfuggita ai metodi di indagine più usati ed efficaci, e per questo la ricerca nel campo è molto attiva. Lo testimoniano, due articoli pubblicati sulla rivista “Dama”, che suggeriscono due approcci differenti per la diagnosi precoce. Nel primo i neurologi dell’Università di Saint Louis hanno voluto verificare le connessioni tra scarsa qualità del sonno e demenza e a tal fine hanno chiesto a 145 persone sane di tenere un dettagliato diario del sonno per due settimane. Alla fine è emerso che 32 dei volontari dormivano peggio degli altri e che questi stessi soggetti avevano, nel liquido spinale, una concentrazione maggiore di beta amiloide, la proteina responsabile della formazione delle placche che distruggono il cervello. Gli autori cercheranno ora di capire se il deterioramento del sonno sia una conseguenza della formazione delle placche o una possibile causa. Nel secondo lavoro, invece, i ricercatori dell’Università del Minnesota hanno cercato di definire il profilo di possibili marcatori biologici partendo dall’analisi del liquido spinale di un centinaio di persone, metà delle quali con i primi segni di demenza. Hanno così visto che questi ultimi avevano maggiori concentrazioni di due frammenti specifici della beta amiloide, chiamati trimeri e amiloide 56, e che entrambi aumentano con l’età. Se ci saranno conferme, i due piccoli pezzi di proteina potrebbero diventare i marcatori specifici della malattia e un loro aumento, insieme con uno studio della qualità del sonno, potrebbero costituire un valido strumento di diagnosi precoce.