Almeno fateci coltivare le canne!

Rita Bernardini

rita bernardiniI sindaci vogliono vietare birre e bitter. Una parlamentare radicale propone una legge ragionevolissima
Sto per depositare una proposta di legge sulla coltivazione domestica della cannabis che il Parlamento, se vuole essere coerente con la legislazione vigente, non potrà rifiutare. Non si tratta di una proposta antiproibizionista di legalizzazione – per la quale da radicali ci battiamo da anni e continueremo a batterci – ma più modestamente di una soluzione normativa per estendere gli effetti del referendum abrogativo del 1993 anche a tutte quelle attività di coltivazione cosiddetta "domestica" delle piante da stupefacenti.

Infatti, nel nostro ordinamento giuridico, nonostante il divieto dell’uso personale di sostanze stupefacenti sia stato abrogato con il referendum del 1993, la condotta di coltivazione non autorizzata continua a costituire sempre e comunque un illecito penale, con esclusione di qualsivoglia spazio per un intervento punitivo solo in via amministrativa ex art. 75 d.P.R. 309/90, e ciò pur in presenza di coltivazioni di modestissima dimensione, rispetto alle quali inconcepibile sarebbe una destinazione al mercato del ricavato. Dal fatto che l’attività di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti non sia richiamata né nell’art. 73 comma 1bis, né nell’art. 75 comma 1, ma solo nel comma 1 dell’art. 73 d.P.R. 309/90, deriva che tale condotta comunque e sempre abbia una rilevanza penale, quale che sia la dimensione della piantagione e quale che sia il quantitativo di principio attivo ricavabile dai fiori e/o dalle foglie delle piante da stupefacenti. Anche dopo l’incisivo intervento di riforma della disciplina sanzionatoria delle sostanze stupefacenti realizzato nel 2006, il legislatore ha finito con l’aderire a quella opinione giurisprudenziale, senz’altro prevalente, fatta propria anche dalla Corte costituzionale (C. cost. sent. 24 luglio 1995, n. 360), secondo cui la condotta di coltivazione, in quanto potenzialmente in grado di aumentare il quantitativo di droga circolante, sarebbe intrinsecamente più grave rispetto a quella di mera detenzione, così da meritare un trattamento punitivo diverso e più severo anche qualora la finalità del provetto "pollice verde" sia di destinare il prodotto della coltivazione a mero consumo personale.

Il divieto generale ed assoluto di coltivare le piante comprese nella tabella 1 di cui all’art. 14 del D.P.R. 309/90 (fra le quali è annoverata la cannabis) appare davvero eccessivo, perlomeno rispetto a quelle condotte di coltivazione rudimentale e domestica di poche piantine, destinate cioè a consentire il ricavo di modestissimi quantitativi di principio attivo, giacché in casi del genere il rischio di destinazione a terzi della sostanza stupefacente è pressoché nullo e parimenti nullo è il rischio per la salute individuale del coltivatore – assuntore o, almeno, i rischi (se esistono), sono pari o inferiori a quelli di chi, essendosi approvvigionato al mercato clandestino, detiene sostanze stupefacenti anche in quantitativi di significativa consistenza. In conclusione, la proposta di legge che ho preparato in collaborazione con l’Avv. Alessandro Gerardo; membro del Consiglio Generale di Radicali Italiani, si prefigge di dare rilevanza solo amministrativa e non penale (come per la detenzione) qualora emerga che il ricavato della coltivazione sia destinato ad un uso esclusivamente personale. Una proposta "moderata", ragionevole, che avrebbe il merito di evitare il dannosissimo impatto con il carcere di tanti giovani che oggi ci finiscono per una condotta che accomuna decine di migliaia di persone che certo non possono essere considerate "criminali”.