Aborto, la legge 194 compie 42 anni: ecco come funziona e perché andrebbe modificata

In questi giorni la legge 194/78, conosciuta più semplicemente come “la 194”, ha compiuto 42 anni.

Ce la raccontano tre esperte: Mirella Parachini e Anna Pompili, entrambe ginecologhe dell’Associazione Medici Italiani Contraccezione e Aborto e Filomena Gallo, avvocato, segretario  Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica

Pur riconoscendone i limiti, dovuti alla mediazione tra posizioni spesso diametralmente opposte, è una buona legge. In particolare all’articolo 15 recita: “Le regioni, d’intesa con le università e con gli enti ospedalieri, promuovono l’aggiornamento del personale sanitario ed esercente le arti ausiliarie sui problemi della procreazione cosciente e responsabile, sui metodi anticoncezionali, sul decorso della gravidanza, sul parto e sull’uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità fisica e psichica della donna e meno rischiose per l’interruzione della gravidanza”.

➡ La “pillola abortiva” dal 2009 anche in Italia

Nel 2009 il metodo farmacologico è stato introdotto anche in Italia con l’autorizzazione alla commercializzazione della RU486, con forte ritardo rispetto ad altri paesi europei (ben 20 anni dopo la Francia) e seppure con una procedura anomala che ha violato le regole del mutuo riconoscimento.

Tale metodo, in molte condizioni, è indubbiamente “più moderno, più rispettoso dell’integrità fisica e psichica della donna e meno rischioso” di quello chirurgico, ed è ampiamente dimostrato che non ha comportato una “banalizzazione” della scelta dell’aborto, e non ha comportato il temuto aumento del ricorso all’interruzione volontaria della gravidanza, come paventato dai suoi oppositori.

➡ L’aborto negli altri Paesi

Nella stragrande maggioranza dei paesi, la IVG farmacologica è possibile entro la nona settimana di gravidanza, mentre in Italia il limite è arbitrariamente fissato entro 7 settimane, nonostante la scheda tecnica del mifepristone (RU 486), approvata da AIFA, riporti il limite di nove settimane. È una procedura scelta e preferita da moltissime donne, che la richiedono superando caparbiamente tutte le difficoltà legate a linee di indirizzo che nel 2010 erano già antiscientifiche ma che oggi sono offensive per la loro dignità e per quella degli operatori.

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