Aborto, il Lazio mette un freno agli obiettori

radiocittafujiko.it
Francesco Ditaranto

Mentre al Policlinico S.Orsola di Bologna, gli anti-abortisti si riuniscono in preghiera per impedire alle donne di esercitare il sacrosanto diritto all’interruzione di gravidanza, la Regione Lazio dice basta ad una situazione insostenibile e riduce drasticamente il “potere” degli obiettori.

La legge 194 è chiara, tanto nella tutela del diritto all’obiezione di coscienza, quanto nel sancire il diritto di ogni donna all’interruzione di gravidanza. Entro certi limiti, stabiliti anch’essi da una legge confermata dal referendum, ogni donna può abortire. Non ci sono vie di mezzo, non ci sono interpretazioni: un diritto è un diritto. Eppure, nel corso degli ultimi anni l’attacco al diritto all’aborto si è fatto sempre più violento e subdolo. Basta guardare come in molte regioni la percentuale di medici obiettori tocchi il 90%, il che impedisce, di fatto, l’esercizio del diritto all’interruzione di gravidanza. Nulla era stato fatto per impedire questo fenomeno e riaffermare un diritto riconosciuto, almeno finora.

Succede così che, mentre a Bologna i cattolici dell’associazione Giovanni XXIII, si diano appuntamento davanti all’Ostetricia dell’ospedale Sant’Orsola per pregare contro l’aborto e tentare di dissuadere le donne che si recano nella struttura, esercitando una violenta pressione psicologica, in un momento drammatico per ogni donna, in Lazio le cose cambino e si torni alla legalità

Fa un pò impressione, infatti, pensare che se a Bologna gli antiabortisti si riuniscono davanti agli ospedali , il governatore Zingaretti dica basta alla prevaricazione e, per decreto, ponga paletti evidenti agli obiettori. Il decreto del governatore della regione con la più alta concentrazione di obiettori dice infatti: “In merito all’esercizio dell’obiezione di coscienza, si ribadisce come questa riguardi l’attività degli operatori impegnati esclusivamente nel trattamento dell’interruzione volontaria di gravidanza. Il personale del consultorio familiare (invece) non è coinvolto direttamente nella effettuazione di tale pratica, bensì solo nell’attività di certificazione…“.

Si conferma, inoltre, che chi lavora nei servizi territoriali ha l’obbligo di prescrivere tutte le forme di contraccezione, compresa la “pillola del giorno dopo”, che non è da considerarsi come una pillola abortiva.

“Finalmente -esordisce Filomena Gallo, segretaria dell’associazione Luca Coscioni– è dal 2012 che esortiamo le regioni ad agire in tal senso. La legge 194 prevede il diritto all’obiezione di coscienza, ma tale diritto non deve entrare in contrasto con il diritto della donna all’interruzione di gravidanza e ad avere tutta l’assistenza necessaria per espletare le pratiche.”

“Purtroppo -continua Gallo- in questi anni abbiamo visto che la presenza di un numero elevato di obiettori di coscienza in ogni fase dell’accesso all’interruzione di gravidanza ha creato una forma di deterrenza, oltre che ritardo, a quelle donne che avevano bisogno di interrompere la gravidanza in un momento specifico e non oltre (non si può abortire oltre le 12° settimana di gestazione, ndr), perchè la legge è molto precisa in questo senso.”

“Finora abbiamo dovuto assistere a situazioni in cui viene rifiutata anche la pillola del giorno dopo che non è un metodo abortivo, ma contraccettivo, o casi di farmacisti che a seguito di idonea prescrizione non forniscono il farmaco richiesto, om ancora, a casi di donna lasciate sole, in strutture sanitarie nell’ultima fase del trattamento. Un atto del genere -conclude Filomeno Gallo- è un invito alle altre regioni a garantire il diritto alla salute della donna come tutaletato dalla 194. Il medico può dichiaranrsi obiettori di coscienza, ma non può esimersi che non sono concreti nella procedura dell’aborto stesso.