Tortura nel carcere di Asti: Corte EDU condanna l’Italia

Manifesti per il reato di tortura in Italia
Era il 2015,  proponevo a Marco Pannella di depositare un Amicus Curiae a supporto delle ragioni di Cirino e Renne, detenuti nel tribunale di Asti che si erano rivolti alla Corte Edu perché torturati in cella: ma nessuno era stato punito, perché in Italia il ‘reato di tortura’ non esiste.
Un Amicus curiae con il Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito e le associazioni soggetti costituenti Non c’è Pace senza Giustizia e Radicali Italiani.
Marco Pannella è stato sempre pronto a procedere: ogni volta ci mettevamo al lavoro con il collega Nicolò Paoletti  (e a volte io da sola) sempre per la vita dei diritti. Così è stato fin dalla prima volta dinanzi alla Corte Interamericana dei diritti umani dove, sul divieto di fecondazione in vitro, l’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica e il Partito Radicale hanno depositato un Amicus curiae (qui) e così è stato anche dove la legittimazione ad agire dell’Associazione Luca Coscioni non c’era, ma c’era il Partito Radicale con gli altri soggetti costituenti (qui). Abbiamo ottenuto le prime decisioni positive che riportavano anche il nostro contributo per affermare diritti fondamentali e, a volte, abbiamo visto le Corti fare proprie le nostre motivazioni e questioni prospettate e i Paesi condannati cambiare le proprie norme.
Ed ecco che di seguito arriva una nuova decisione, che si aggiunge ad altre precedenti sul reato di tortura e che condanna l’Italia per violazione dell’ art. 3 della Convenzione. 
Il caso del carcere di Asti fu uno degli ultimi mandati firmati da Marco.
Il resto è noto.
 
Filomena Gallo

 Tortura nel carcere di ASTI, condannata l’Italia

Sentenza ottenuta anche grazie all’Amicus Curiae presentato da Partito Radicale, Radicali Italiani, Non c’è Pace senza Giustizia e gli avvocati N.Paoletti, P.Cavazzino e F.Gallo

Il Governo aveva ignorato 4 interrogazioni depositate dall’On. Bernardini

Nel 2015, il Partito Radicale con Non c’è Pace senza Giustizia e Radicali italiani, grazie agli avvocati Nicolò Paoletti, Pierpaolo Cavazzino e Filomena Gallo aveva presentato un Amicus Curiae nel procedimento promosso dai signori Andrea Cirino e Claudio Renne contro l’Italia per i fatti accaduti nel carcere di Asti, dove nel 2004 i due detenuti erano stati sottoposti a vere e proprie torture da alcune guardie carcerarie.

A seguito della decisione della Corte di Strasburgo l’avvocato Filomena Gallo, segretario dell’Associazione Luca Coscioni con gli avvocati Nicolò Paoletti e Pierpaolo Cavazzino congiuntamente rappresentanti delle associazioni per cui è stato depositato l’amicus curiae, Maurizio Turco, Nicolò Figà Talamanca e Riccardo Magi hanno dichiarato:

Il nostro Amicus Curiae sottolineava in particolare la mancanza di volontà da parte del legislatore italiano di voler introdurre nell’ ordinamento italiano il “reato di tortura” capace di punire i responsabili dei fatti del 2004, evidenziando che le quattro interrogazioni depositate dall’ on. Rita Bernardini con i deputati Radicali sui fatti commessi nel carcere di Asti non avevano mai ottenuto risposte dal Governo. “

Oggi, la Corte Europea dei Diritti Umani- in un secondo giudizio dopo quello su Bolzaneto – condanna l’Italia per le azioni degli agenti di Asti non punite a causa della mancanza di leggi adeguate. La Corte ha inoltre stabilito che lo Stato dovrà versare 80 mila euro per danni morali ad Andrea Cirino e alla figlia di Claudio Renne, morto in carcere lo scorso gennaio.

La Corte EDU ha evidenziato che “in the case the European Court of Human Rights held, unanimously, that there had been:

violations of Article 3 (prohibition of torture and of inhuman or degrading treatment) of the European Convention on Human Rights, both as regards the treatment sustained by the applicants (substantive aspect) and as regards the response by the domestic authorities (procedural aspect).

Inoltre la Corte EDU evidenzia che nel caso di Asti i giudici nazionali hanno fatto uno sforzo enorme per stabilire i fatti e individuare i responsabili del trattamento inflitto ai ricorrenti. Tuttavia, avevano concluso che, ai sensi della normativa italiana in vigore, non esisteva alcuna disposizione giuridica che consentisse loro di classificare il trattamento in questione come tortura. Avevano dovuto rivolgersi ad altre disposizioni del codice penale, che erano soggette a periodi di prescrizione legali.