Piero Welby: sull’eutanasia il 60% degli italiani è d’accordo. La politica deve rispondere

Piero Welby
[inline:1]Era inevitabile che la vicenda di Teresa Schiavo accendesse i riflettori e l’interesse dei media su tre problemi con i quali ogni società occidentale deve confrontarsi.
Testamento biologico, accanimento terapeutico, eutanasia stanno diventando dei termini che sempre più frequentemente si accompagnano alla fine della vita. La morte giunge in ospedale, da malattie croniche piut­tosto che da quelle acute e i pazienti non incontrano più la morte; la fine giunge per loro mentre sono in coma, in­tubati, aerati, glucosizzati, narcotizzati, sedati – non co­scienti. Se si sostiene che la vita è sempre un bene, in qualunque condizione si svolga, e la morte è sem­pre un male, è chiaro che nessuna anticipazione del momento della morte, per quanto minima e co­munque procurata, può essere considerata un atto benefico e bisogna anzi fare ogni sforzo per pro­lungare anche di poco la vita, ma questa visione –vitalistica – trova sempre meno riscontro nei tanti sondaggi che vengono pubblicati da quotidiani e settimanali.

Uno zoccolo duro che rappresenta circa il 60 % della popolazione non ritiene che l’eutanasia sia un tabù e una percentuale ancora maggiore ritiene che il testamento biologico, e il conseguente rifiuto all’accanimento terapeutico, anche in condizioni di incoscienza, sia un diritto del singolo.

Sono stati depositati in Parlamento numerosi disegni di legge, sia sulla depenalizzazione dell’eutanasia che sul DAT (dichiarazioni anticipate di trattamento). Ora spetta alla politica rispondere ad una esigenza di chiarezza alla quale i cittadini hanno, da tempo, già risposto.