La difesa di Cappato chiede il riconoscimento del diritto alla libertà di scelta anche per i pazienti con prognosi infausta a breve
Oggi si è svolta un’udienza importante in Corte costituzionale, la quarta sul tema del suicidio assistito. La difesa di Marco Cappato, attualmente indagato a Milano per aver accompagnato nel 2022 in Svizzera due persone malate, Elena e Romano, ha chiesto l’affermazione della libertà di scelta per chi si trova in condizioni di malattia irreversibile e sofferenza e, come nel caso di Elena, ha una prognosi infausta a breve termine.
Romano, 82 anni, di origini toscane e residente a Peschiera Borromeo, soffriva di una malattia neurodegenerativa, il Parkinson, che lo rendeva completamente dipendente dagli altri con sofferenze intollerabili e, con il progredire della malattia, temeva di perdere anche la sua capacità cognitiva.
Elena, veneta di 70 anni, aveva combattuto contro il cancro per anni e, secondo l’ultimo referto medico, la sua situazione era critica, con metastasi diffuse, una prognosi infausta breve e senza alcun trattamento di sostegno vitale.
Elena e Romano non erano tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitale classicamente intesi, pertanto non avevano provato ad accedere al suicidio assistito in Italia poiché si ritenevano privi di uno dei requisiti della sentenza 242\2019 sul caso Cappato-Dj Fabo. Entrambi avevano chiesto aiuto a Marco Cappato per andare in Svizzera e accedere al suicidio medicalmente assistito. Cappato, ad agosto e a novembre 2022, dopo averli accompagnati, si era dunque autodenunciato a Milano, al rientro in Italia.
Il collegio di difesa di Cappato, ha visto in Corte la discussione dell’avvocata Filomena Gallo, Segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni, del professor Tullio Padovani e dalla professoressa Maria Elisa D’Amico, che hanno evidenziato l’importanza di garantire la libertà di scelta nel fine vita per chi è pienamente capace di autodeterminarsi, vive in condizioni di sofferenza intollerabile, è dipendente da trattamenti di sostegno vitale così come anche intesi nella sentenza 135 del 2024 o è nella condizione di una prognosi infausta a breve termine.
La richiesta unanime dei difensori alla Corte è stata di una sentenza di accoglimento vincolante che consenta l’accesso al suicidio assistito alle persone pienamente capaci di autodeterminarsi, affette da patologia irreversibile che determina sofferenze che la persona reputi intollerabili, dipendenti da trattamenti di sostegno vitale così come interpretati dalla Consulta nel 2024 o, in assenza di questi ultimi, vi sia una prognosi infausta a breve termine. Un nuovo intervento dunque sull’articolo 580 del codice penale, attualmente in vigore così come modificato a seguito alla sentenza di incostituzionalità numero 242 del 2019, con l’espressa richiesta di indicare come ulteriore requisito, in assenza di trattamenti di sostegno vitale, la prognosi infausta breve.
“La legge 219/2017, su cui si è fondata la sentenza n. 242/2019, all’articolo 2 già prevede che nei casi di pazienti con prognosi infausta a breve termine, i medici debbano astenersi da ogni accanimento terapeutico e da trattamenti inutili o sproporzionati”, ha dichiarato l’avvocata Filomena Gallo, Segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni.
“La Corte costituzionale”, prosegue Gallo, “deve ora affermare, come già stabilito dalla legge, che la libertà di scelta nel momento finale della vita non può essere limitata dalla presenza o meno di trattamenti di sostegno vitale, che in alcune condizioni di malattia sono non solo inefficaci, ma anche impossibili da applicare. Negare l’accesso alla morte assistita a una persona nelle condizioni della signora Elena, affetta da una patologia irreversibile con prognosi infausta a breve termine, per il solo fatto di non essere tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale – che per quelle particolari condizioni sono di fatto inefficaci o non disponibili – sarebbe una grave discriminazione.
Questa discriminazione colpirebbe proprio coloro che desiderano congedarsi dalla vita perché affetti da malattie con nessun tipo di linea terapeutica disponibile e avvio alle terapie di supporto previste per i malati terminali poiché vi è una prognosi infausta breve. Romano invece malato di Parkinson, potrebbe rientrare nell’interpretazione effettuata dalla Corte nel 2024, ma occorre una sentenza con forza vincolante.
La decisione della Corte costituzionale potrebbe finalmente porre fine a questa discriminazione, aprendo la strada a un riconoscimento più ampio della dignità e della libertà di scelta nelle fasi finali della vita. In assenza di una legge che elimini ogni forma di discriminazione in materia di fine vita, ci si augura che la Corte continui a garantire i diritti fondamentali in questo ambito, come già avvenuto in passato”.
L’Associazione Luca Coscioni è una associazione no profit di promozione sociale. Tra le sue priorità vi sono l’affermazione delle libertà civili e i diritti umani, in particolare quello alla scienza, l’assistenza personale autogestita, l’abbattimento della barriere architettoniche, le scelte di fine vita, la legalizzazione dell’eutanasia, l’accesso ai cannabinoidi medici e il monitoraggio mondiale di leggi e politiche in materia di scienza e auto-determinazione.