Nelle Marche al via il primo processo contro una ASL che si è rifiutata di applicare la sentenza sull’accesso al suicidio assistito

La storia di Mario, 42 marchigiano tetraplegico, che chiede di morire legalmente in Italia

La Segretario dell’Associazione Luca Coscioni, Filomena Gallo: “Il Governo rispetti la Costituzione affinché si applichi la sentenza del Caso Cappato/Fabo del 2019”

Si è tenuta oggi la prima udienza del procedimento di urgenza, in cui un uomo di 42 anni tetraplegico, in condizioni irreversibili (Mario, nome di fantasia) si è opposto al diniego ricevuto dalla sua ASL di riferimento delle Marche rispetto alla sua richiesta di accedere al suicidio assistito.

Un diniego arrivato senza che sia stata effettuata alcun tipo di verifica sulle sue attuali condizioni cliniche, come previsto dalla sentenza 242\2019 della Corte Costituzionale che, risulta immediatamente applicativa dal giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. In virtù di norme già in vigore nel nostro ordinamento stabilisce dei passaggi specifici per tutti quei pazienti affetti da patologie irreversibili che in determinate condizioni, possono far richiesta di porre fine alle proprie sofferenze, attraverso un iter tramite Servizio sanitario nazionale.

Il signor Mario, assistito dagli avvocati del Comitato dei giuristi per le libertà dell’Associazione Luca Coscioni chiede dunque al giudice che ordini all’Azienda Sanitaria delle Marche di effettuare le verifiche sulla sua condizione e sul protocollo a cui accedere, così come previsto dalla Consulta per poter procedere – previo parere del comitato etico – alla prescrizione del farmaco letale che il malato richiede, in base alla propria condizione, di poter assumere per porre fine alle sue sofferenze con il suicidio medicalmente assistito.

“Credo che tutti quelli che si trovano in condizioni simili alla mia debbano avere il diritto di scegliere se andare avanti così, tra dolori e sofferenze, oppure no. Io ho scelto, non voglio più soffrire. Per questo chiedo di attivare la procedura per il suicidio assistito in Italia. Nessuno può capire, se non lo vive in prima persona, cosa vuol dire trovarsi in queste condizioni 24 ore su 24. La vita che sto vivendo ormai da 10 anni per me non è più sopportabile. Preferisco andarmene con dignità piuttosto che vivere per chissà quanti altri anni una vita, piena di dolore, che non mi appartiene”, ha dichiarato il signor Mario.

“In attesa della decisione dei giudici, ritengo che sia di una crudeltà inaudita  che i cittadini in condizioni gravissime di malattia, come Mario, debbano passare per i tribunali per ottenere risposte sull’esercizio dei propri diritti costituzionali”, ha dichiarato Filomena Gallo, avvocato del collegio difensore e Segretario dell’Associazione Luca Coscioni, che è già coordinatore anche della difesa di Marco Cappato e Mina Welby nei relativi processi sul fine vita in corso: “Chiedo dunque, vista l’urgenza di questo caso, ma anche dei tanti altri che versano nelle stesse condizioni, al Ministro della Salute, Roberto Speranza, alla Ministra della Giustizia, Marta Cartabia, e a tutto il Governo di procedere nel rispetto della Costituzione con gli atti necessari affinché le strutture pubbliche del Servizio sanitario nazionale applichino la sentenza della Corte costituzionale”.

QUI il testo della lettera

“Ai Presidenti delle Camere – conclude Filomena Gallo – segnalo che sono trascorsi rispettivamente due anni e mezzo e un anno e mezzo dal primo e dal secondo richiamo con cui la Corte costituzionale ha invitato il Parlamento a legiferare sul tema. A tutti i Parlamentari faccio notare che il Parlamento spagnolo in 7 mesi è arrivato all’approvazione della legge sull’eutanasia mentre in Italia da 7 anni e mezzo il Parlamento non è riuscito nemmeno a discutere la legge di iniziativa popolare per la legalizzazione dell’Eutanasia, oggi sottoscritta da oltre 140.000 cittadini.”

La cosiddetta “Sentenza Cappato”, in particolare, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 580 del codice penale per la sola parte relativa all’aiuto al suicidio. La Corte ha stabilito con sentenza che l’aiuto di cui all’art. 580 codice penale non è punibile nei soli casi in cui  è fornito una persona tenuta in  vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del Servizio Sanitario Nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente.