A tre mesi dalle diffide alle ASL cosa è accaduto e come continuare per la salute in carcere

PRIGIONE

Anche nel 2024 l’Italia si è confermata un paese dove il sistema penitenziario è al di fuori della legalità costituzionale. Una sovrappopolazione del 130% registrata prima dell’estate è andata aumentando nelle settimane scorse facendo superare il numero di 62.000 ristretti in un circuito detentivo che prevede una “capienza regolamentare” di 45.000 persone; quasi un terzo di questi è senza una sentenza definitiva e nella stragrande maggioranza dei casi le persone sono rinchiuse in strutture fatiscenti e in una generale mancanza di adeguate offerte socio-sanitari e carenza del personale della polizia penitenziaria. 

Non si tratta di un’emergenza, come spesso si legge, ma di una caratteristica strutturale della Repubblica italiana che continua a non voler assumersi la responsabilità delle proprie condotte contro la legalità internazionale e il rispetto dei diritti umani. 

Nell’Agosto scorso l’Associazione Luca Coscioni ha diffidato le 102 Asl competenti per la salute in carcere ad adempiere al proprio ruolo di fornitrici di servizi sanitari e di monitoraggio delle condizioni degli istituti penitenziari. Come previsto per legge, sta infatti alle aziende sanitarie il garantire il rispetto delle condizioni igienico-sanitarie all’interno delle case di detenzione, sia tramite la presenza di personale specializzato, sia mediante lo svolgimento di sopralluoghi finalizzati a segnalare le eventuali carenze di igiene e profilassi ravvisate nelle strutture.

Le diffide inviate il 9 agosto scorso, ricordano, tra le altre cose, che “la responsabilità per la mancata applicazione e/o i ritardi nell’attuazione delle misure previste per lo svolgimento dell’assistenza sanitaria penitenziaria sono imputabile al Direttore Generale della Asl”.

Da alcune delle risposte ottenute e da notizie di stampa, l’azione dell’Associazione Luca Coscioni dell’estate scorsa ha concorso a rilanciare il tema del sovraffollamento, denunciato in diverse occasioni da altre figure istituzionali di riferimento, come i garanti dei detenuti o le visite ispettive degli eletti, e fatto effettuare una decina di visite delle Asl..

Già nel 1993 le presenze in carcere erano stimate in oltre 50.000 unità, numero mai sceso al di sotto della cosiddetta capienza regolamentare (che oggi è di circa 43.000 posti), ottenuta nel 2007 a seguito dell’ultimo indulto della storia italiana adottato l’anno precedente.

Nel 2013, la Corte europea per i diritti umani ha adottato una sentenza pilota, passata alla storia come “Torreggiani” (uno dei ricorrenti), che ha condannato l’Italia per trattamenti inumani e degradanti (condotte definite anche come tortura) – nel 2009 i reclusi erano 66.000, neanche 4.000 in più di quelli presenti al 31 Ottobre 2024! Da allora, malgrado si siano avvicendati governi di ogni orientamento e colore politico nessuna misura strutturale, o di “clemenza”, è stata mai adottata.

Secondo le statistiche del Ministero della Giustizia, ad Agosto scorso solo Val d’Aosta, Sardegna e Toscana presentavano un tasso di presenze inferiore al 100%, seppur con percentuali ampiamente maggiori all’80% e, malgrado ciò, si sono registrati sovrappopolazioni in alcuni istituti e suicidi.

A distanza di tre mesi dalla lettera di messa in mora inviate dall’Associazione Luca Coscioni, meno della metà delle Asl contattate hanno fornito risposta, nonostante il termine previsto per l’evasione della richiesta sia fissato a 30 giorni e all’inizio di settembre fosse stato fatto un sollecito. In molti casi le Asl si sono limitate a presentare la carta dei servizi offerti, redatti in collaborazione con l’amministrazione penitenziaria: documenti le cui informazioni contenute non risultano sufficienti a stabilire la qualità delle azioni effettivamente realizzate nonché le condizioni di vita negli istituti.

Nei casi in cui le risposte sono state esaustive, l’Associazione invierà una formale richiesta di accesso agli atti per poter verificare non solo quanto rilevato ma anche le modalità delle ispezioni (se a campione o approfondite).

Alla diffusa genericità delle risposte ottenute si sommano i ritardi burocratici frutto di una scarsa efficienza amministrativa che hanno comportato ulteriori dilatazione dei tempi nella corrispondenza e la frammentarietà dei dati forniti. Nelle ultime settimane è stato avviato un lavoro di contatto telefonico con le direzioni delle Asl che si è tradotto in un rimbalzo di pec non rintracciabili, protocolli mancanti, pratiche smarrite, anche il semplice contatto con un dirigente responsabile è risultato difficoltoso, disegnando un apparato burocratico che pare essere lontano dall’attuazione di un’efficace ed efficiente transizione digitale. Figuriamoci del godimento dei diritti delle persone detenute.

Malgrado tutto ciò, l’iniziativa ha comunque avuto il merito di far effettuare una decina di visite negli ultimi due mesi e di tornare a poter denunciare lo stato di abbandono istituzionale che caratterizza le carceri italiane con particolare attenzione a ciò che attiene al diritto alla salute. 

In attesa di riscontri ufficiali sempre possibili, o di risposte ai solleciti pubblici effettuati anche a mezzo stampa, l’iniziativa continua con la richiesta di poter visionare le relazioni stilate a seguito delle visite effettuate negli ultimi 18 mesi da parte delle Asl.