Cosa ci insegna la corsa ai vaccini anti-meningite

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Di Andrea Ballabeni Harvard T.H. Chan School of Public Health

La corsa frenetica alla vaccinazione anti-meningite delle ultime settimane conferma due cose. La prima è la riprova del potere dei media. Infatti, sebbene i casi di meningite in Italia non siano sostanzialmente aumentati nel 2016 (se si fa eccezione per un aumento in alcune zone della Toscana) il solo fatto che se ne sia maggiormente parlato su giornali e telegiornali ha indotto molte persone a credere che sia in atto una vera e propria epidemia di meningite. La seconda è la conferma di come molte persone abbiano una concezione errata dei vaccini.

Sappiamo che uno dei problemi delle vaccinazioni è che sono vittime del loro stesso successo; paradossalmente, più funzionano e più si creano le condizioni per la loro messa in discussione. I tanti vaccini creati e perfezionati nelle ultime decadi hanno infatti ridotto drasticamente la diffusione di tante malattie, tra le quali anche molte terribili come poliomelite, pertosse e tetano; ed hanno permesso di debellare completamente una terribile malattia come il vaiolo che ha causato centinaia di milioni di morti nel corso della storia umana (anche se l’agente patogeno potrebbe essere ancora presente, ma dormiente in qualche meandro protetto della biosfera). L’ Organizzazione Mondiale della Sanità stima che le vaccinazioni evitano oggi la morte di 2,5 milioni di persone all’anno ed un numero ancora maggiore di degenze ospedaliere. La drastica riduzioni delle tante malattie coperte dalle vaccinazioni ha quindi portato a non vedere più queste malattie. E’ per questo che molti pensano oggi che le vaccinazioni siano inutili. Alcuni conoscono i paurosi danni che alcune malattie hanno creato in epoca prevaccinale ma ritengono, erroneamente, che quelle terribili malattie siano ora piu mansuete. Ecco quindi che molte persone evitano diverse vaccinazioni percepite come inutili. Ma quando poi si ha il sentore che un pericolo si sta affacciando, come nel recente caso dell’ epidemia mediatica di meningite, ecco allora che molti corrono a vaccinarsi (azione giusta, ma per la quale non c’è urgenza oggi più di quanta ce ne fosse tre anni fa).

Ma ci sono anche altri fattori che contribuiscono alla scetticismo verso i vaccini. Uno di questi è legato al fatto che nel corso degli ultimi decenni sono state divulgate notizie di danni dovuti alle vaccinazioni. In alcuni casi questi effetti collaterali si sono rivelati completamente inventati. Il piu celebre di questi e’ quello della presunta correlazione tra il vaccino MMR (vaccino trivalente per morbillo, parotite, rosolia) e l’autismo. Questa presunta correlazione fu ipotizzata in un articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Lancet dal dottor Wakefield nel 1998. Tuttavia negli anni successivi risultò sempre più evidente che alcune informazioni chiave riportate nell’articolo erano inventate; fu anche dimostrato che Wakefield aveva un conflitto di interesse essendo stato pagato da gruppi anti-vaccini. La pubblicazione, anche a seguito della totale incapacità di ridimostrare quella correlazione da parte della comunità scientifica, fu così alla fine ritirata da Lancet nel 2010. Il problema però è che molte persone non conoscono questa vicenda o tutti i dettagli di questa vicenda – alcuni non sanno ad esempio che la pubblicazione sia stata ritirata – mentre altri conoscono tutti i particolari, ma attribuiscono la decisione del board editoriale di Lancet ad inesistenti pressioni subite dalle lobbies delle grandi aziende farmaceutiche.

In altri casi effetti collaterali indesiderati vi sono stati veramente, ad esempio alcuni rarissimi casi della sindrome di Guillain-Barre’. Tuttavia questi rari accadimenti vengono percepiti da molte persone in modo disproporzionato. Questa errata percezione quantitativa fa parte di uno dei tanti bias di cui noi esseri umani siamo affetti e che ci porta a vedere maggiormente le cose negative rispetto a quelle positive (in altri casi puo avvenire anche il contrario). Ma anche al fatto che siamo spesso incapaci di comprendere il reale peso di alcuni numeri o molto grandi o molto piccoli; è il cosiddetto fenomeno della number numbness, cioè della insensibilità ai numeri, che ci porta a non afferrare completamente la differenza reale tra numeri molto diversi, nel caso specifico quindi la enorme disproporzione tra benefici e rischi dei vaccini.

Un altro concetto che non viene compreso è quello che alcuni vaccini sono solo parzialmente efficaci, come ad esempio il vaccino influenzale (la cui efficacia è parziale e varia di anno in anno). Non viene spesso colto che questi vaccini hanno comunque una utilità in quanto diminuiscono le possibilità di ammalarsi e quindi il numero di persone malate e i costi sanitari.

Non viene, inoltre, da molti compreso il concetto di herd immunity per cui più persone vaccinate vi sono, più diminuiscono le probabilità che un certo agente patogeno si diffonda nella popolazione in questo modo aiutando anche le persone che non possono vaccinarsi. Ad esempio, più gente è vaccinata con il vaccino anti-influenzale più si proteggono anche quelle persone che o non possono vaccinarsi (ad esempio perché allergiche a certe sostanze presenti nel vaccino) o per cui la vaccinazione è poco efficace come ad esempio gli anziani. E meno anziani ammalati di influenza vuol dire meno anziani morti di polmonite (una delle principali cause di morte in età geriatrica).

Ma i fattori di scetticismo non sono finiti. Ad esempio, come accenato sopra, il fascino per le teorie complottistiche porta molti ad immaginare, più spesso del dovuto, trame oscure ideate da malvagi governi o case farmaceutiche. Ed è chiaro che più le malattie che i vaccini prevengono sono invisibili più questi tipi di retropensieri hanno spazio per proliferare.

Inoltre, c’è anche l’atavico istinto di non immettere sostanze sconosciute all’ interno del proprio corpo. E’ questo un istinto sviluppatosi nel corso dell’evoluzione e che influenza anche le persone piu razionali. Questo istinto è particolarmente marcato nel caso di sostenze percepite come “non naturali” (concetto un po’ ambiguo che in realta sarebbe meglio esprimere con il termine “antropogeniche”). Esistono in parole povere dei bias negativi nei confronti delle sostanze percepite come “non naturali” così come a volte esistono bias positivi nei confronti di sostanze percepite come “naturali” (si pensi ad esempio alla tendenza ad esagerare le capacità preventive e curative di grandi dosi di vitamina C).

Come fare quindi per difendere uno strumento che ha già permesso di salvare centinaia di milioni di vite umane e di tagliare drasticamente i costi sanitari mondiali? Ovviamente bisogna continuare a promuovere ovunque una corretta e dettagliata informazione scientifica, sempre cercando di capire quali sono i canali ed i contesti che consentano di massimizzare l’efficienza comunicativa.

Tuttavia la corretta informazione, sebbene necessaria, si sta sempre di più rivelando non sufficiente. Gli scienziati cognitivi e gli esperti di comunicazione hanno infatti man mano realizzato che non è solo importante il contenuto dell’informazione ma anche il modo in cui questa informazione viene trasmessa. Ad esempio, si è visto che è molto importante stabilire un rapporto di fiducia e vicinanza tra chi effettua la comunicazione o la vaccinazione e chi le riceve; è quindi fondamentale dare la possibilità ed il tempo per farsi conoscere ed instillare fiducia. Inoltre è spesso anche fondamentale non tenere nei confronti dei non addetti ai lavori un atteggiamento (percepito come) troppo dogmatico o, ancor peggio, di sfida. Chi ha studiato una materia per tanti anni sa quanto sia demoralizzante vedere il diffondersi di un certo modo di pensare irrazionale ed anti-scientifico. E quanto sia frustrante dover in certe occasioni interloquire con persone impreparate che sostengono cose false e pericolose. Ma gli esperti di comunicazione e di salute pubblica pensano che in molte circostanze la strada maestra sia comunque quella di ascoltare maggiormente e di provare a costruire un dialogo. L’approccio paternalistico che aveva una qualche efficacia nel passato (“prendi questa medicina perché lo dice la scienza ed io sono la scienza”) può funzionare meno bene nella attuale società per una serie di ragioni: la presenza di Internet, l’aumento dell’ istruzione media della popolazione (che, paradossalmente, illude molte persone di comprendere cose che invece non comprendono), la maggior complessità del business farmaceutico e della società, ed altro ancora. L’obiettivo deve ovviamente rimanere quello di educare al metodo scientifico ed al fatto che per capire alcune cose bisogna ragionare ed aver studiato in un certo modo. Ma le esperienze dei passati decenni ci suggeriscono che questo dovrà esser fatto, salvo eccezioni, attraverso un processo un po meno top-down ed un po’ più di dialogo ed ascolto.

Nonostante le persone scettiche verso i vaccini stiano aumentando, la buona notizia è che sembra che la maggior parte di queste non abbiano posizioni radicali e siano piuttosto dei vaccine hesitant, cioè persone che possono essere facilmente persuase usando un certo tipo di approccio.

La classe politica ha sicuramente tanto da imparare dagli scienziati e quella italiana è, con tutte le dovute eccezioni, piuttosto arretrata sul piano della cultura scientifica. Allo stesso tempo anche la comunità scientifica, sempre con le dovuti eccezioni, ha molto da imparare da politici ed esperti di comunicazione. Il caso dei vaccini ci insegna quanto importante sia promuovere una maggiore sinergia tra scienza, politica e società.