Caro direttore di Avvenire, perché non dici la verità sulla legge 40?

Filomena Gallo, Segretario dell’Ass. Luca Coscioni

Gentile direttore Tarquinio,

 

leggo quotidianamente e con interesse il vostro quotidiano e lo speciale E’ vita. I temi da voi trattati sono gli stessi di cui si occupa l’Associazione Luca Coscioni da molti anni.

Spesso mi sembra che il nostro sia un dialogo a distanza: un botta e risposta tra le nostre iniziative politiche e i vostri editoriali e approfondimenti. Voi, forse più di tutti, date atto alle nostre lotte nonviolente. E questo certamente vi fa onore, perché non applicate alcuna censura, a differenza di tanta ‘stampa di regime’. Tuttavia, allo stesso tempo, devo ravvisare delle inesattezze in alcuni articoli, come quello di giovedì 22 novembre dal titoloLegge 40: un po’ di chiarezza oltre la propaganda in cui sono state riportate delle informazioni errate su cosa permette e cosa vieta la legge 40:  ad esempio sostenere che la diagnosi preimpianto sia vietata significa non leggere la legge 40 per come e’ scritta, vuol dire accusare i giudici di aver applicato male la legge nell’ordinare l’esecuzione dell’indagine. E’ vero che le decisioni hanno valore solo per i casi concreti, ma avete omesso le specifiche dei vari casi, e per di più che il principio generale della norma considera lecita l’ indagine. Chiedere una indagine diagnostica non significa fare eugenetica; se così fosse sarebbe vietata, giustamente.

La decisione della Corte EDU, pur non essendo ancora definitiva, ha comunque un valore: la stessa prevede il rispetto di un principio di uguaglianza in materia terapeutica  e condanna l’Italia per violazione dell’art. 8 della Carta EDU.  Se la decisione sarà definitiva, con o senza reclamo del Governo,lo Stato italiano dovrà adempiere, in quanto abbiamo obblighi comunitari a cui non possiamo sottrarci. Non possiamo essere europeisti ad intermittenza.

Quasi che le precisazioni fossero state fatte ad personas per i vostri lettori. Per non parlare del pezzo a firma di don Aramini dove si attaccano in poche righe magistratura, certa stampa e una visione laica della vita, oltre ad ignorare completamente la differenza tra sterilita e infertilità. Dov’è lo spirito cristiano nell’imporre la sofferenza alla donna, la cui tutela è sancita dalla  legge 194, e ad un bambino? Il rispetto della vita queste coppie lo conoscono fin troppo bene, è in quel rispetto che scelgono se privarsi o no di  un figlio. I potenziali genitori che scelgono di non mettere al mondo un bambino che soffrirebbe, non sono certo ‘spazzini della vita’: con questa ultima frase mi riferisco alla risposta di oggi alla Roccella in cui Lei scrive “La diagnosi preimpianto serve […] ‘a buttar via’ (anche solo in un ‘bidone’ di gelo) i bimbi imperfetti […]”. Rinunciare ad un figlio ‘imperfetto’ vuol dire preservarlo da una sofferenza certa, non significa pretendere un figlio ariano. Questi articoli non hanno, a mio parere, lo scopo di informare, bensì di demonizzare tutto ciò che non è frutto di precetti e assolutismi cristiani o evangelici, per non dire cattolici.

La libertà di pensiero e di professione di fede è uno dei principali segni di civiltà di una cultura, ma se tali manifestazioni devono essere compiute a discapito della verità processuale, delle norme fondamentali italiane ed europee, e della libera scelta di ogni cittadino si sconfina allora nella malafede.

Credo che sulle vostre pagine non ci sia spazio per una nostra precisazione, anche se il confronto e la dialettica non possono che condurre ad una sana sintesi delle convivenze.

Tuttavia, come voi rappresentate un interlocutore necessario per le nostre riflessioni – mi riferisco ad esempio all’invito che avete ricevuto per prendere parte agli Stati generali dei diritti civili organizzati dall’Associazione Luca Coscioni – spero che altrettanto lo siano le nostre idee e le nostre persone.

 

Cordiali saluti