41-bis: gravi e inquietanti le parole del ministro Alfano

Alessandro Gerardi

Dichiarazione di Alessandro Gerardi, membro del Comitato radicale per la Giustizia Piero Calamandrei e Consigliere Generale dell’Associazione Luca Coscioni

 

Il Ministro dell’Interno Angelino Alfano si è detto pronto a inasprire ancora di più il carcere-duro, eppure nel 2009, quando era Ministro della Giustizia, fu lui stesso a dire che l’attuale legge che stabilizza il 41-bis contiene “norme fortissime, che rappresentano il massimo che si potesse fare, perché ormai in tema di carcere-duro si è davvero arrivati al limite della Costituzione”. Da allora sono passati poco più di tre anni, ed è curioso notare come invece oggi, a differenza di ieri, il vice-presidente del Consiglio ritenga che quel “limite” possa e debba essere oltrepassato, per sconfinare ufficialmente nella barbarie. Le parole odierne del Ministro Alfano sono gravi e inquietanti anche perché non più tardi di qualche settimana fa il Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa si è detto “molto preoccupato per l’ulteriore inasprimento del 41-bis introdotto dal Governo italiano nel 2009”, e per questo motivo ha chiesto al Parlamento italiano “di rendere meno afflittive alcune delle principali misure che caratterizzano il cosiddetto carcere duro”. Insomma, il Consiglio d’Europa ci dice di fare una cosa e il Governo minaccia di fare esattamente il contrario. In realtà, come ricordano spesso i radicali in splendida solitudine, il 41-bis è un regime carcerario terribile, dove il rispetto del diritto umanitario è veramente a forte rischio. Da questo punto di vista il Ministro dell’Interno dovrebbe cominciare a interrogarsi sugli effetti di sistema che l’azione antimafia ha portato nel nostro Paese. A forza di guardare negli occhi il mostro-mafia, il mostro-‘ndrangheta e il mostro-camorra, rischiamo infatti di diventare noi stessi il mostro. Ogni tanto il Ministro Alfano provi quindi a ragionare su quello che è il vero problema del nostro Paese che non è solo la criminalità organizzata ma la necessità di vivere in una società dove certi diritti fondamentali vengono garantiti a tutti, anche alle persone detenute per associazione mafiosa.