Caso Englaro, Cappato e Mainardi: “Per evitare nuovi casi va solo applicata la legge che già esiste”

eluana englaro

Di fronte alla condanna dell’ex Direttore generale della sanità della Lombardia sul caso Englaro le dichiarazioni di buona parte del mondo politico sono del tutto fuorvianti: a chi chiede di normare la materia ci preme ricordare che, grazie alle sentenze relative al caso Englaro, ma anche a quelle relative ai casi Welby e Piludu, il valore costituzionale del diritto a sospendere o rifiutare era già stato accertato.

A seguito di quelle sentenze e della reazione dell’opinione pubblica sul caso di Dj Fabo, sette anni fa abbiamo ottenuto l’approvazione della legge 219/2017 che non affronta il tema dell’eutanasia, ma almeno norma il consenso informato, il rifiuto o la sospensione delle terapie, la pianificazione condivisa delle cure e le disposizioni anticipate di trattamento.

Entrata in vigore nel 2018, la legge 219/2017 permette già oggi di evitare il ripetersi di vicende come quelle vissute dalla famiglia Englaro, ma la garanzia di non dover andare per tribunali riguarda quella parte ancora minima di persone che hanno depositato le proprie Disposizioni Anticipate di Trattamento. Per chi non lo ha fatto, in caso di controversie resta necessario coinvolgere un giudice. La legge dunque c’è e funziona: manca ancora però una campagna informativa verso la cittadinanza che la legge stessa prevede sia fatta dal Ministero della Salute, dalle Regioni e dalle strutture sanitarie.

Ribadendo l’importanza della sentenza della Corte dei Conti e onde evitare che altri sanitari incorrano in simili sanzioni, ci appelliamo dunque al Ministro della Salute Orazio Schillaci per chiedere il rispetto del dettato della 219/2017 per quanto di sua competenza, a partire da una campagna informativa nazionale.