Un breve viaggio

cure palliative

Tratto dalla tesi in Psicologia clinica di Davide Perego

— Le cure palliative e il paziente pediatrico —

Nonostante la tematica della mortalità pediatrica sia tutt’oggi un taboo, i dati finora analizzati, confermano che i minori possono incorrere in una malattia inguaribile e che in essa, sperimentino le problematiche cliniche, psicologiche, etiche e spirituali che malattia inguaribile e morte comportano.

Le cure palliative rappresentano anche per il paziente pediatrico, la risposta più adeguata: costituendo un momento insostituibile e necessario nell’approccio al bambino e alla sua famiglia oltre a offrire cure competenti.

L’OMS definisce le cure palliative pediatriche come l’attiva presa in carico globale del corpo, della mente e dello spirito del bambino e che comprende il supporto attivo alla famiglia.[1]

Il minore con patologia cronica severa senza possibilità di guarigione e/o con disabilità rilevante e/o terminale è un paziente elettivo per le cure palliative: l’adeguato controllo dei sintomi, il ritorno a casa e il reinserimento nella sua famiglia e nella sua socialità, rappresentano per il minore e per la famiglia un traguardo particolarmente positivo e costantemente richiesto.

Il miglioramento generale dell’assistenza e le nuove tecnologie hanno portato ad allungare progressivamente la sopravvivenza nella malattia che, congiuntamente all’aumento del numero di nuovi bambini malati sopravviventi, ha portato alla crescita della prevalenza di minori bisognosi di cure palliative, attraverso diverse fasi della vita che vanno dall’infanzia all’età adulta.

Per questa fascia di popolazione i tempi di impiego delle cure palliative possono essere differenti: in alcuni casi essere limitate ai primi anni di vita (malattie congenite); in altri, prolungate per periodi maggiori (Fibrosi Cistica Polmonare, Cardiopatie, Malattie autoimmuni) e in altri ancora concentrate in un breve periodo che precede la morte.

Secondo la Association for Children with Life-limiting and Terminal Illness e il Royal College of Paediatrics and Child Health si possono individuare quattro categorie diverse di bambini con patologie inguaribili, ciascuna delle quali richiede interventi diversificati e specifici.[2] 

  1. Minori con patologie per le quali esiste un trattamento specifico, ma che può fallire in una quota di essi. Le cure palliative intervengono quando il trattamento causale fallisce per la guarigione (neoplasie, insufficienza d’organo irreversibile);
  2. Minori con patologie in cui la morte precoce è inevitabile, ma cure appropriate possono prolungare ed assicurare una buona qualità di vita (infezione da HIV, fibrosi cistica);
  3. Minori con patologie progressive, per le quali il trattamento è quasi esclusivamente palliativo e può essere esteso anche per molti anni (malattie degenerative neurologiche e metaboliche, patologie cromosomiche e geniche…);
  4. Minori con patologie irreversibili ma non progressive, che causano disabilità severa, e morte prematura (Paralisi cerebrale severa, disabilità per sequele di danni cerebrali e/o midollari).

Inizia così uno scambio con Mina Welby, moglie di Piergiorgio e co-presidente dell’Associazione Luca Coscioni, da sempre in prima linea per migliorare la qualità della vita dei pazienti terminali, con cui ci addentriamo in una lunga intervista e in cui ammette che: ”il capitolo sulle cure palliative per neonati, bambini e adolescenti mi ha portato a ritroso nella mia vita e quella di Piergiorgio Welby, mio consorte per 28 anni.

Per lui a 16 anni la diagnosi cruda di distrofia muscolare con prevedibile morte entro vent’anni. Una patologia ancora sconosciuta, i genitori allo sbaraglio e che si tormentano di una colpa, che non hanno per aver messo al mondo un figlio, votato a una precoce morte. Piergiorgio aspetta la fine, studia per passare il tempo. Ben presto non riesce più a salire le scale e abbandona la scuola di ragioneria. Inizia a viaggiare per l’Europa con degli amici. Con l’eroina cerca di anestetizzare il lento decadimento del corpo. Passano diversi anni in mantenimento con il metadone al SERT. Ci conosciamo, nasce l’amicizia e ci sposiamo. Vuole disintossicarsi e ci riesce. Tutto il nostro vivere fu un palliativo costruttivo continuo, dove si rubavano minuti al tempo.”

Prosegue confidandosi come mai avrei sperato: “Aggiungo la mia storia di sopravvivenza. A otto anni ero dichiarata spacciata dal medico. Ero a casa. Il mio lettino era in cucina, l’unico posto caldo. Il medico passava tutti i giorni mattina e pomeriggio, senza essere chiamato. Era un vecchio dottore burbero, del quale i bambini avevano tutti paura. Mi sembrava strano che mi sorridesse e mi accarezzasse la guancia e sentisse la fronte, dopo aver ascoltato il cuore e il mio respiro. Parlava sottovoce con mamma, ma diceva forte che dovevo mangiare il brodo (che non mi piaceva), le uova e bere molto latte. Medicine non c’erano. Per far abbassare la febbre mamma mi fece degli impacchi con una pezza bagnata con acqua fresca sulla fronte e ai polsi. Una notte mamma accese la candela del battesimo. Alla mia domanda perché fosse accesa, mi rispose che forse gli angeli sarebbero venuti a prendermi. Avevo febbre altissima e non ricordo altro. La mattina mi svegliai e vicino a me c’era il dottore e lei. Dopo quella notte iniziarono a sgonfiarsi i linfonodi al mio collo, la febbre diminuiva e non avevo più dolore. Seguono altre settimane di convalescenza, dove venne la mia maestra a trovarmi, richiesta da me, per poter recuperare. Vennero anche alcune compagne di classe e studiavamo insieme. Tornai a scuola ed era tutto normale come tre mesi prima.

Questo nel dopoguerra in un paese di montagna di 2300 abitanti, dove esisteva solo aiuto reciproco e presa di responsabilità per l’altro. Non si parlava di diritti, ma i nostri genitori ci inculcavano responsabilità per noi stessi e per gli altri.”

Non smette di insegnarmi, addentrandosi in quello che è il motivo per cui ho chiesto di partecipare a questo progetto, per sentire la voce di chi in Italia è il massimo sostenitore del diritto alle cure palliative al fine di migliorare la qualità di vita del malato: “Ho introdotto con questo lungo preambolo per far riflettere come approcciarsi a una grave patologia di un bambino oggi. Come un adulto un bambino, una bambina hanno il diritto di essere informati sulle loro condizioni, così il bambino e la bambina hanno diritto di persona informata a suo livello di percezione. Deve potersi fidare e non aver paura. Per questo anzitutto va data attenzione a far assistere da psicologi e psicoterapeuti i genitori, o comunque le persone responsabili del minore. La serenità e la limitazione di paura in un malato così fragile deve essere il principio di cura, su cui si può operare per interventi per la salute.  

Importanti ospedali per bambini danno esempi di cure anche con occupazione di gioco per avviare il normale sviluppo della personalità e dell’intelligenza e dell’istruzione. Ai nostri tempi lontani il miglior ospedale era la casa, la famiglia.”

Come per altri ambiti della tutela e promozione della salute, anche nel caso della richiesta di cure palliative pediatriche, si può immaginare un continuo assistenziale che si estende con una crescente intensità di necessità specifiche e di competenze professionali nei seguenti tre livelli:

  1. “approccio palliativo” in caso di patologie relativamente frequenti e meno severe (primo livello di richiesta assistenziale) principi di cure palliative pediatriche applicate da tutti i professionisti della salute;
  2. situazioni che richiedono l’intervento di professionisti delle reti ospedaliere e territoriali, con esperienza e preparazione specifica in cure palliative pediatriche, da definirsi secondo standard condivisi, anche se non impegnati in modo esclusivo in tale attività (secondo livello o livello intermedio di cure palliative generali);
  3. situazioni più complesse, che richiedono l’intervento continuativo di professionisti esclusivamente dedicati alle cure palliative pediatriche operanti in équipe multi – professionali specifiche (terzo livello o livello di cure palliative specialistiche).

Nel nostro Paese mancano stime ufficiali di prevalenza di minori bisognosi di cure palliative, sia a livello nazionale sia a livello regionale

Un’analisi eseguita dall’Association for Children With Life Threatening of Terminal Conditions and Their Families e dal Royal College of Pediatrics and Children Health, in Inghilterra, riporta una “prevalenza di malati minori fra 0 e 19 anni” affetti da patologie terminali di 10 soggetti su 10.000.

Bisogna mantenere il focus sull’assunto che un bambino che non potrà guarire è comunque un bambino; quindi ogni suo bisogno, e azione conseguentemente svolta, vengono a inserirsi in un quadro generale di sviluppo, evoluzione e maturazione del soma e della persona, coinvolgente e richiedente la mediazione della famiglia.

In Italia Vidas, l’associazione da anni in prima linea nella garanzia alla cura e al sostegno dei malati inguaribili, ha ideato e realizzato Casa Sollievo Bimbi, la prima struttura residenziale in Lombardia per le cure palliative.

Qui bambini e adolescenti affetti da malattie inguaribili, trovano un ambiente caldo e accogliente suddiviso in 6 appartamenti attrezzati come una casa in grado di ospitare oltre al piccolo paziente, i familiari ed eventualmente i siblings. Ogni spazio è organizzato per essere modulabile sul bisogno di gioco e di relazione dei bambini, così come di intimità e socializzazione dei genitori. L’équipe specializzata in cure palliative pediatriche cura ogni aspetto medico, emotivo ed educativo della vita del paziente.

I medici operativi in casa Sollievo Bimbi non portano il camice e sono specializzati nell’assistenza pediatrica senza supporto genitoriale così che la madre e il padre possano dedicare del tempo a sé stessi o a eventuali altri figli.

Giada Lonati, direttrice socio sanitaria, spiega il cuore di questo progetto umanitario “Casa Sollievo Bimbi nasce dal racconto di due genitori di bambini gravemente malati, che avevano sentito la necessità di uno spazio, diverso dall’assistenza a casa, che non fosse l’ospedale. Capimmo così che dovevamo agire sulla base di questo bisogno.”

Di seguito un’analisi dei bisogni del minore contenute nel documento “Cure palliative rivolte al neonato bambino e adolescente” redatte dal Ministero della Salute.[3]

A) Mantenimento dell’equilibrio fisico del soma e della sua crescita e maturazione

  1. contrasto, compenso e/o controllo dei sintomi, prevenzione della loro ingravescenza e della nuova comparsa, controllo e prevenzione delle complicanze e delle comorbidità, loro trattamento precoce per la riduzione di esiti e menomazioni conseguenti;
  2. mantenimento delle funzioni vitali, dell’omeostasi somatica, mantenimento e maturazione per quanto possibile delle funzioni d’organo e apparato e/o loro supplementazione o sostituzione;
  3. promozione delle potenzialità di crescita e maturazione somatica residue e supporto per una loro armonica realizzazione;
  4. realizzazione di tutti gli interventi nella maniera meno traumatica, invasiva e protetta dal dolore, nel rispetto della persona nella sua globalità e dignità e attraverso la valutazione costante tra costo per il piccolo paziente e beneficio apportato.

B) Sviluppo e mantenimento delle funzioni

  1. messa in atto precoce di tutte le misure che favoriscano e rinforzino l’interazione con l’ambiente
  2. recupero, supporto, supplementazione per quanto possibile delle funzioni motorie, comunicative, sensoriali, cognitive e relazionali già acquisite ed eventualmente compromesse o perdute;
  3. attivazioni di tutti gli interventi, al fine di far acquisire nuove capacità di interazione con l’ambiente, di autonomia personale e di performance.

C) Maturazione della personalità, del riconoscimento del sé e degli altri, della valorizzazione delle peculiarità e talenti individuali

  1. non aver interrotto il legame parentale in nessun momento della cura e della presa in carico, ma vederlo supportato e rafforzato nelle competenze tecniche e negli aspetti relazionali ed emotivi;
  2. aver individuato precocemente i professionisti ed operatori che si occupano e occuperanno in futuro di lui, vedendo il loro numero più contenuto possibile. Avere un rapporto empatico e personale con essi, anche attraverso azioni di aiuto e supervisione degli operatori;
  3. mettere in atto tutte le attività, mediate dall’età e condizione del minore, che, attraverso il gioco, l’espressione diretta o indiretta della creatività e dei vissuti, fino, se necessario, a una presa in carico psicologica, favoriscano lo sviluppo di un’immagine di sé sufficientemente armonica.

D) Crescita della persona, della sua educazione, cultura e creatività, della sua spiritualità, del suo ruolo tra gli altri e nelle comunità

  1. avere a disposizione spazi, strumenti, modalità ed attività di gioco e socializzazione relazionati all’età, condizione e attitudini personali;
  2. godere in tutte le condizioni e per tutto il tempo possibili, della frequenza scolastica, anche a distanza e/o con attività individualizzate;
  3. poter partecipare, relativamente a età e condizione presentata, ad attività sociali ricreative che interessino gruppi e pari, attività sia generalmente organizzate, sia appositamente per il suo coinvolgimento, anche attraverso la collaborazione con gruppi di volontariato attivo;
  4. avere a disposizione il supporto spirituale desiderato nei tempi e modi voluti.

E) Essere e sentirsi amato da una famiglia sufficientemente serena per accoglierlo e per accudirlo e gestirlo con competenza ed equilibrio

  1. avere un accudimento sufficientemente competente e amorevole;
  2. godere di una relazione parentale, familiare e amicale, riferita all’età e alle capacità individuali, valida, supportiva e motivante;
  3. ricevere le cure necessarie e vivere in un ambiente a misura di bambino  e con organizzazione e modalità rispettose dei suoi ritmi, dei suoi sentimenti, dell’impatto emotivo che producono e della sua capacità di integrarlo nel suo mondo interiore.

F) Vivere nel presente mantenendo comunque uno spazio di pensiero futuro davanti a sé.

  1. veder rispettato, con riferimento all’età, condizione e desiderio personale, il diritto di informazione e comunicazione e comunque essere reso in grado di comprendere cosa sta accadendo e cosa si sta per fare;
  2. veder accolto il proprio dolore psichico, angoscia e ansia, attraverso ogni modalità di contenimento, supporto, ascolto e presa in carico relazionata a età, condizione e desiderio individuale;
  3. mantenere per quanto possibile, ritmi e motivazioni quotidiane e scadenze e proposte per il domani.

Con Mina Welby, ho modo di proseguire il nostro rapporto e mi dona un episodio di vita vissuta in merito a un bimbo che ha conosciuto durante il suo percorso: “Ho conosciuto un bambino, chiamiamolo Luigi, dolcissimo e sveglio, di due anni e qualche mese. Era tracheotomizzato, e attaccato a un ventilatore automatico. Quando nacque respirava autonomamente. Aveva bisogno di un intervento urgente al cranio. Operazione riuscita. Ma arrivano le infezioni. Ah, le infezioni, che proprio negli ospedali sono le patologie spesso tragiche per i ricoverati. Lo so, perché ne ho esperienza personale durante un mese e mezzo di degenza in rianimazione di mio marito, Piergiorgio.

Questo è successo al piccolo Luigi. Per una grave infezione polmonare è stato tracheotomizzato e attaccato a un respiratore automatico. L’ho conosciuto così a casa sua.”

Prima di concludere chiarisce che “È un diritto di tutti i cittadini di poter trovare dal più giovane al più anziano le cure e i trattamenti sanitari nella propria regione. Essere supportati fin da piccini da cure amorevoli prepara cittadini sani nel corpo e nella mente. Anche delle disabilità possono risultare stimolo per nuove risorse umane nella convivenza e una ricchezza anziché un limite.”

Ci salutiamo con un augurio che mi vede al suo fianco “Alla fine auspico che nel nuovo anno accademico 2021/22 inizi davvero la Scuola in Medicina e Cure Palliative e continui il Corso di Cure Palliative Pediatriche nell’ambito dei corsi obbligatori delle scuole di specializzazione in pediatria”.

— Note —

[1] Cancer Pain Relief and Palliative Care in Children, WHO-IASP, 1998 

[2] Association for children with life – threatening or terminal conditions and their failieri (ACT) and the royal college of paediatrics and child health (RCPCH), A Guide do Development of Children’s Palliative Care, 2003, Bristol 

[3] Ministero della Salute, Documento tecnico “cure palliative rivolte al neonato, bambino e adolescente”, 2006 

— Conclusioni —

Durante questo percorso abbiamo avuto la fortuna di confrontarci con testimonianze dirette che ci hanno riportati alla letteratura di riferimento per la stesura della tesi.

Claudia, Giada ed Eleonora, con la loro conoscenza della malattia in fase adolescenziale, ci hanno permesso di entrare nel loro mondo, non così distante dal mondo di un adolescente senza patologie nella loro ricerca delle relazioni, come fulcro esistenziale.

Alice ha compreso la malattia dietro una macchina da presa, aiutando i teen a entrare in contatto con una visione quasi scanzonata di quella paventata morte che dovrebbe essere così lontana dalla giovinezza.

Dario tramite l’esperienza da genitore “orfano” del proprio figlio, costruisce sul suo ricordo un’associazione che grazie a Tiziana, ha l’unico fine di realizzare i desideri, a bambini in grado di provare gioia ed eterna gratitudine nonostante la loro condizione.

Mina che continua ad accompagnare chiunque la contatti richiedendo un accesso alle cure palliative, sicura della centralità della salvaguardia della qualità di vita del minore.

Paola che nell’incontro con Chiaraluce ha trovato il modo per accettare incondizionatamente lo stadio terminale di malattia di un fanciullo vivendolo al fianco di ognuno di loro, mostrando una pietās intesa come sentimento che induce amore, compassione e rispetto per le altre persone.

Il fine ultimo di questo lavoro vuole far sì che venga mantenuta la centralità nella vita che rimane, nell’hic et nunc, nel qui e ora senza concentrare forza e attenzione sulla morte che sta sopravvenendo.

Perché la morte nei pazienti terminali sta sopravvenendo.

Ma non è ancora sopravvenuta.

Essendo il minore ancora vivo nel presente, dobbiamo riconoscere il bambino terminale: nel suo dolore nascosto, in quel sorriso forzato, in quelle grida che pretendono amore, nella “negazione della malattia” data dalla stanchezza di essere etichettato come malato e non come individuo vivo.

Dobbiamo essere gli amici che si stringono intorno al paziente terminale.

Dobbiamo divenire la famiglia che lo supporta nel dolore.

Dobbiamo rispettare il dolore dei genitori che si tramutano in Niobe, personaggio della mitologia greca, figlia di Tantalo e sorella di Pelope.

Che per il dolore di aver perso i propri figli, pregò Zeus di trasformarla in pietra, ma nonostante il suo corpo venne tramutato in roccia conservando la sua forma, la leggenda narra che Niobe continuò a piangere e piangerà in eterno.

Dobbiamo aiutare il malato a rimanere realisticamente aggrappato alla vita che rimane, e a rimanerci con lui.

Non dobbiamo essere occhi che distolgono lo sguardo dal malato, ma dobbiamo essere occhi che osservano un individuo che è e che rimane come noi.

Vivo.