Un altro modo di fare bilanci

Fine anno tempo di bilanci. A livello economico si fanno guardando l’andamento (“trend” in inglese) rispetto agli anni passati: come è andato il fatturato della ditta quest’anno? Ed il Pil (Prodotto Interno Lordo) che misura la ricchezza creata nel Paese? Idem in molti altri campi: p.es in ricerca scientifica biomedica si fa il bilancio se il laboratorio o anche il singolo ricercatore abbia pubblicato un numero maggiore, uguale o minore di articoli scientifici rispetto all’anno precedente. E così via, il tutto sottintendendo che se l’andamento è in crescita va bene, se è stabile un po’ meno bene e se è in diminuzione va male.

Spesso il parametro quantitativo prevale su quello qualitativo e le cose sono considerate andare bene solo quando i numeri crescono. Ma siamo sicuri che sia proprio così? Di recente è uscita la classifica delle città italiane per qualità di vita, calcolata sulla base di 90 indicatori misurabili relativi alle seguenti sei categorie: 1. ricchezza e consumi; 2. affari e lavoro; 3. giustizia e sicurezza; 4. demografia e società; 5. ambiente e servizi; 6. cultura e tempo libero. Le città di Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania e Puglia sono tutte nella metà inferiore della classifica, indicando che in base alle categorie sopracitate in esse si vive piuttosto male. Però se si valuta il numero medio di giorni in cattiva salute psichica, i cittadini di quelle regioni sono quelli che stanno meglio di tutti.

Forse questo indica che la qualità di vita di una città non dipende solo dalle sei categorie quantitative sopracitate, ma anche per esempio, dal tipo di relazioni tra umani che si possono intrecciare e dal benessere psico-fisico che esse inducono. Un problema è che categorie come il benessere psico-fisico delle persone sono più complesse da misurare e di conseguenza spesso non rientrano tra quelle utilizzate nelle formule che attualmente calcolano la qualità di vita delle città italiane. In altre parole, il modo di calcolare la nostra qualità di vita manca di importanti fattori che sono meno facilmente misurabili, a differenza di ricchezza e consumi, affari e lavoro, giustizia e sicurezza ecc.

Così a fine anno, è difficile trovare un bilancio che consideri alcune cose importanti: per fare un altro esempio relativo al campo che conosco meglio, quello della ricerca sui tumori al cervello, valutare se i risultati ottenuti offrano almeno una possibilità di avvicinarsi ad un miglioramento delle pratiche cliniche oppure se nulla stia cambiando al letto del paziente, è più difficile che numerare gli articoli scientifici pubblicati. Forse quel primo aspetto dell’efficacia delle nostre ricerche sarebbe addirittura più importante, ma propria per la difficoltà a quantificarlo, spesso non viene considerato.

Ci perdiamo qualcosa di importante nel valutarci. Ma anche rimanendo confinati a ciò che è facilmente misurabile, che esso non debba che crescere pena la nostra rovina, è una pericolosa convinzione. Potrebbe essere vero il contrario. Quasi sempre, accrescere la produzione significa accrescere il consumo di risorse (che non sono infinite) e la quantità degli scarti di lavorazione (che sono nocivi). E continuando a peggiorare la condizione ambientale di un pianeta che già sta dando segni di inequivocabile sofferenza, inevitabilmente peggiorerà la condizione di una sempre più grande maggioranza di noi.

È necessario quindi un altro modo di valutare quello che stiamo facendo, che includa non solo i parametri economico-quantitativi usati fino ad ora ma anche parametri di benessere individuale, collettivo ed ambientale, i quali, sebbene meno direttamente misurabili, sono una componente essenziale per capire se la strada che stiamo percorrendo sia giusta o ci porti verso un burrone.