Che cos’è un trattamento di sostegno vitale?

Con sentenza n. 249/2019 (cosiddetta Cappato/Antoniani), la Corte Costituzionale ha dichiarato “ l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale, nella parte in cui non esclude la punibilità di chi …….omissis……. agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente”. 

Di queste condizioni in cui deve trovarsi la persona affinché il suo proposito di suicidio possa essere legittimamente agevolato come previsto dalla Corte Costituzionale, quella che ha lasciato maggiori margini di interpretazione (e quindi di difficoltà applicativa) è  quella di “essere tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale”. Non a caso, tale condizione non è richiesta dalle legislazioni dei Paesi in cui il suicidio medicalmente assistito è permesso.

Con il progredire  della Scienza Medica, i trattamenti che aiutano a mantenere in vita un paziente cambiano, si perfezionano, si integrano continuamente, come continua è la Ricerca nel campo

Non può quindi bastare una casistica di “trattamenti di sostegno vitali” farmacologici, meccanici,  professionali (se un paziente non può mangiare e bere da solo, l’imboccarlo non è un trattamento di sostegno vitale?) o di altro tipo che sarebbe necessariamente incompleta e soggetta a rapida obsolescenza. Appare quindi ragionevole, in base al dettato della Corte Costituzionale, definire un trattamento di sostegno vitale, “qualunque trattamento la cui interruzione causi la morte del paziente”.  

Ma tale definizione non può prescindere dal rispondere a questa domanda: “in quanto tempo?”. 

A seconda della malattia, l’interruzione dei trattamenti possono causare la morte del paziente in tempi molto diversi (v. Figura).

Per esempio, l’interruzione dei trattamenti ad un/una paziente con sclerosi multipla (malattia altamente invalidante ma scarsamente letale), può causarne la morte anche dopo trenta anni (riquadro in rosso).

L’interruzione dei trattamenti ad  un/una paziente  con glioblastoma (tumore maligno cerebrale altamente invalidante e letale) può causarne la morte dopo alcuni mesi (riquadro in verde).

L’interruzione dei trattamenti ad  un/una paziente  con incapacità respiratoria severa può causarne la morte dopo alcuni minuti

Vi è tutto uno spettro di efficacia temporale dei trattamenti standard nel sostegno al mantenimento in vita. 

Non può essere quindi che una questione politica (di competenza parlamentare, coadiuvata da consulenti tecnici) determinare un valore soglia di tale efficacia temporale nei termini seguenti: 

“Si considera un trattamento di sostegno vitale quello la cui interruzione causi la morte della popolazione di pazienti in percentuale ≥ X % in ≤ Y mesi”.