Sulle assoluzioni di Walter De Benedetto, Marco Cappato e Mina Welby

Sono sempre più convinto che la testimonianza di ciascuno di noi è quel piccolo granello, quella piccola scheggia di roccia, da cui però può rotolare la valanga. Queste due giornate, forse senza la dovuta visibilità sono state storiche, ancora una volta i tribunali hanno riconosciuto la giustezza, cioè la legalità delle nostre battaglie contro leggi e disposizioni che vanno contro il buon senso e i diritti costituzionali. Mi riferisco ad una doppia, anzi una tripla assoluzione di Walter De Benedetto, Mina Welby e Marco Cappato.

Si tratta di processi riferiti a fattispecie tanto diverse fra di loro, ma che rappresentano una svolta per quanto riguarda il diritto alla salute e alla libertà di poter decidere sulla propria vita. Come malato di SLA ho fatto mie le battaglie circa l’uso della cannabis terapeutica, cercando di squarciare il velo di ipocrisia che fa diventare chi si cura alla stregua di un tossicodipendente. Dopo che la scienza ha ormai confermato i benefici della cannabis per far fronte alle sofferenze causate da alcune patologie croniche e la direzione ormai presa in molte realtà diverse dall’Italia, circa il consentirne anche l’uso ludico, da noi il legislatore rifiuta persino di decidere, costringendo a rivolgersi ad un tribunale chi già di suo vive una situazione non facile, oggi Walter che cerca di lenire gli effetti dell’artrite reumatoide, domani io stesso, malato di SLA, per non vedermi attaccato ad un respiratore. Finalmente davanti al silenzio del nostro sistema sanitario nazionale che non è in grado di fornire a chi necessita la giusta quantità di cannabis terapeutica, si sta affermando il principio del diritto di cura, è lecito procedere alla sua coltivazione per tale scopo, senza venire accusati di spaccio o altri reati, permettetemelo un’umiliazione per il nostro sistema giudiziario.

Non meno importante è ciò che è accaduto a Marco e a Mina, ancora una volta in tribunale in seguito alla dolorosa vicenda di Davide Trentini, l’assoluzione in primo grado è stata confermata in appello, ribadendo ancora una volta come non sia un reato aiutare a morire, a porre termine alle proprie sofferenze chi si trova a vivere una patologia grave e irreversibile, per la quale diventano inutili le cure palliative e che costringe a dipendere da trattamenti artificiali. Nonostante una precisa richiesta della Corte Costituzionale il Parlamento è rimasto silente, negando la speranza di poter guardare al futuro con maggiore sollievo, invece ancora non siamo liberi di decidere! Per questo spero che le parole del Ministro competente, di soddisfazione per l’assoluzione di Walter De Benedetto, si concretizzino in qualcosa di reale e non rimangano come un rumore di sottofondo. Voglio sottolineare che la classe politica, quando si parla di diritti civili o di inclusione, finora ha prodotto solo il Ministero per le Disabilità, l’ennesima foglia di fico, non certo l’impegno per creare le condizioni affinchè la qualità di tutti noi in qualche modo possa migliorare, siamo ben lontani da questo obiettivo, però almeno possono continuare i proclami.

In questa giornate dove ci sarebbe solo che da festeggiare, moderatamente, arrivano però anche le brutte notizie, che dimostrano come sia necessario rimanere vigili e continuare a lottare per i diritti di tutti. Nonostante sembri che il peggio sia passato, gli integralisti e gli oscurantisti non ci danno tregua e gli Stati Uniti continuano ad essere il laboratorio per le loro assurdità. In Arizona è appena stata approvata una legge che riduce drasticamente la libertà di scelta della donna, impedendole di abortire in caso di patologie genetiche del feto; io so cosa significa e mi piacerebbe che se possibile ad altre famiglie sia concesso di scegliere.

La nostra battaglia non è finita, anzi ogni giorno occorrono nuove energie, nuove strategie perché la schiera di chi nega libertà e diritti ogni giorno cerca di imporsi.